I risultati deludenti in molte città della Regione, a partire da Padova e Verona, suscita le prime reazioni dei dirigenti locali. Il braccio destro del governatore Marcato: "In certe città esiti drammatici, una riflessione è doverosa". E qualcuno dalla base fa eco: "Se abbiamo gli stessi voti nel Nord-Est e a Palermo una domanda dobbiamo farcela"
In casa della Lega veneta monta la polemica. Era bastato annusare l’aria delle prime reazioni, dopo l’apertura delle urne, per capire che il malumore era pronto ad esplodere. Non solo il partito ha rimediato a Padova una figuraccia, con il proprio candidato Francesco Peghin arrivato appena al 30 per cento, ma in buona parte del Veneto, dove i simboli delle liste erano visibili, i Fratelli d’Italia hanno fatto il sorpasso nella coalizione di centrodestra, a partire da Verona e Belluno. Un pessimo segnale per Matteo Salvini, che da almeno un paio d’anni deve fare i conti con lo strapotere del governatore Luca Zaia e deve misurarsi con la base che invoca l’autonomia del Veneto, mentre egli ha allargato i propri orizzonti al Centro-Sud dell’Italia.
C’era da aspettarsi che uno dei primi a parlare dopo i risultati elettorali di domenica sarebbe stato Roberto Marcato, assessore regionale allo sviluppo economico e all’energia del Veneto. È un fedelissimo di Zaia, e si è da tempo dichiarato disponibile a diventare segretario regionale se e quando Salvini darà il via libera alla stagione dei congressi attesa da anni. Marcato ha scelto i giornali locali per lanciare un messaggio chiaro a via Bellerio, sede milanese della Lega. “Il risultato ottenuto dal centrodestra a Padova con il candidato Peghin suona come una sentenza, non può essere liquidato dicendo che faceva caldo e la gente è andata al mare – ha dichiarato – Alle elezioni puoi vincere e puoi perdere, certo, ma se perdi col 30 per cento è drammatico. Adesso la Lega in consiglio comunale ha 2 eletti, praticamente dimezzati, siamo dietro a Fratelli d’Italia”. Poi ha ricordato i successi delle regionali 2020: “Solo due anni fa, in piena emergenza sanitaria per il Covid e facendo la campagna elettorale in agosto, alle Regionali abbiamo avuto il 61 per cento di affluenza e il centrodestra con Zaia ha sfiorato l’80 per cento. Una riflessione è doverosa”.
Un vero attacco frontale, anche perché ha aggiunto: “Capisco che essere al governo a Roma possa far perdere consensi, la Lega ha fatto una scelta di responsabilità. Ma in Veneto mi si presenta un problema se dopo quasi 5 anni da un referendum plebiscitario l’autonomia continua a non essere materia di discussione vera in Parlamento. Per non dire del reddito di cittadinanza che dalle nostre parti è come il fumo negli occhi”. L’appello di Marcato suona come un ultimatum a Salvini. “Spero in una riflessione seria in cui si abbia il coraggio di dire che a Padova è stato un fallimento senza precedenti e che a Verona si è sbagliato a non correre con la coalizione unita”. Guardando al futuro ha aggiunto: “Di questo passo rischiamo di presentarci alle prossime Regionali deboli nei confronti di Fratelli d’Italia e io, leghista dal 1992, non lo posso permettere. Serve una riflessione e serve un’accelerazione sui congressi, anche il Nathional (in Veneto, ndr) va fatto: abbiamo bisogno di interlocutori, di segretari, non di commissari. Salvini è segretario, non commissario”.
Marcato anche in passato aveva punzecchiato il segretario federale e manifestato dubbi sulla scelta di Peghin. A gennaio, quando il presidente della Lega Veneta, l’onorevole Massimo Bitonci, per chiudere le polemiche, aveva detto che le decisioni andavano prese dai leader nazionali, Marcato era sbottato: “Quando ho letto che ‘decide Roma’, mi è corso un brivido nella schiena. Da padovano, da veneto, ma soprattutto da leghista, certe espressioni non si trovano nel mio vocabolario”. Allora le contestazioni della scelta di Peghin erano state significative all’interno della Lega. Avevano preso posizione, ad esempio, il sindaco di Noventa Padovana, Marcello Bano (difeso da Marcato), e il consigliere regionale Fabrizio Boron. Un clima incandescente che rischia di riproporsi dopo la cocente sconfitta.
Marcato ha messo il dito sulla piaga del sorpasso subito in molte realtà ad opera dei Fratelli d’Italia. Ma non c’è solo lui. Il trevigiano Marco Serena, già sindaco di Villorba ha scritto su Facebook il 14 giugno, in modo solo in apparenza sibillino. “Post muto senza polemica. Giugno 2022, i risultati della Lega: Genova 6,8 %, Verona 6,6 %, Padova 7,3%, Palermo 5,1%, Parma 4,2 %”. Come dire che la Lega in Veneto regredisce paurosamente. Il post ha suscitato un diluvio di commenti: “A Zaia le balle gireranno come un mulino…”, “E adesso cosa fa il ‘Capitano’?”, “Bisogna tornare sul territorio e vicino al popolo”, “La classe dirigente del partito deve essere totalmente riformulata”. “Non è più tempo di fare politica a suon di slogan populisti, occorre prendere decisioni serie, consapevoli che in Europa ci siamo”, “Se Salvini continua con questi atteggiamenti fa la fine dei Cinquestelle”.
Questa è la pancia del partito, che ha cominciato a manifestarsi. Giovanni Bernardelli, ex presidente del consiglio comunale di Conegliano, già finito nel mirino della disciplinare interna per alcune dichiarazioni, ha aggiunto: “Se la Lega a Padova e Verona ha più o meno gli stessi voti che a Palermo, forse una domanda dobbiamo farcela: praticamente cancellati. Una riflessione in Veneto è d’obbligo”. Per non parlare di Fulvio Pettenà, già presidente del consiglio provinciale di Treviso e grande amico di Zaia, anche lui sotto tiro, in quanto eretico leghista: “I risultati impongono una profonda riflessione, con una svolta a 180 gradi il nostro elettorato si sta spostando in massa verso Fratelli d’Italia. Come in una Caporetto, la fanteria è dispersa. Ma si può e si deve ripartire”.