Hanno dovuto rimettere insieme i pezzi di una rissa, scaturita da un debito di poche decine di euro, che coinvolse una trentina di persone. Un rompicapo durato dieci mesi per provare a capire chi, il 29 settembre 2021, in un parchetto di Pessano con Bornago, colpì Dimitry Simone Stucchi con una coltellata al torace, uccidendolo. Adesso gli investigatori dei carabinieri e la procura minorile di Milano guidata da Ciro Cascone ne sono certi: il principale indiziato per la morte del 21enne, figlio di due edicolanti, è un ragazzo di appena 17 anni con diversi procedimenti pendenti. Agì con “ferocia”, scrive il giudice per le indagini preliminari Nicoletta Cremona, che l’ha spedito in carcere insieme al fratello 15enne, anche lui presente alla rissa, nell’operazione che ha complessivamente portato a 24 misure cautelari, 19 delle quali chieste e ottenute dalla procura ordinaria perché a carico di maggiorenni.
Dentro un parchetto di Pessano si sfidarono un gruppo di giovanissimi del paese con un altro “nutrito gruppo” proveniente da Vimercate, in provincia di Monza e Brianza. Le tensioni andavano avanti da mesi ed erano state alimentate sui social. Alla base, secondo quanto appurato finora, un “debito di 50-100 euro per l’acquisto di hashish” contratto da un giovane “del gruppo di Vimercate” con il 15enne del “gruppo di Pessano con Bornago”. Un debito che ad avviso degli inquirenti fu “pagato” con “banconote false”. Per questo si trovarono in via Monte Grappa armati di sanpietrini, bastoni, bottiglie, mazze da baseball, canne di bambù, una spada e “quattro-cinque coltelli”, secondo un testimone.
La “prima coltellata” contro Stucchi fu inferta proprio dal 17enne, stando alla ricostruzione del gip. Il giovane “poi ha continuato a colpirlo” insieme “a non meno di altre tre persone” anche quando “il ragazzo si era accasciato” a terra, dove verrà poi soccorso prima di morire in ospedale. Il minorenne ha agito con “ferocia”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, e insieme al fratello – “non soddisfatti dell’accoltellamento” – hanno continuato a infierire con “calci” assieme ad altri anche quando il giovane non riusciva più a “scappare” ed era “inerte” sul marciapiede. Nato a Melzo e di origine nordafricana, il giovane presunto omicida è stato descritto così da un teste: “Sembrava veramente una tigre. Con un balzo ha raggiunto Simone: lo ha afferrato alla testa e con la mano destra, nella quale aveva un coltello, lo ha colpito all’altezza delle costole sul fianco sinistro. In quel momento ha sferrato un solo fendente restando attaccato con la lama conficcata”.
Nelle ore successive il giovane è stato definito da altri giovani testimoni come “assolutamente tranquillo e anzi euforico”. E un teste lo ha descritto così: “Non mi sembrava disperato, anzi era spavaldo”. Anche nei giorni e nelle settimane successive, si legge ancora, “i due fratelli” hanno “trascorso le loro giornate in condizioni di assoluta normalità, con l’unica preoccupazione, loro e dei familiari, di non venir individuati”. In una telefona dell’11 ottobre il padre del 17enne si raccomandava con lui di avere “prudenza” perché “ci sono in giro i carabinieri”. Evidenze che spingono il giudice a sottolineare come “neppure di fronte alla morte di un giovane, barbaramente e brutalmente accoltellato” i due fratelli hanno “provato rimorso, tentando addirittura di eludere e sviare le indagini”.
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