Dallo scivolone del 12 marzo 2020 (“Non siamo qui per chiudere gli spread, non è la funzione della Bce”), che la vide costretta a precisare poche ore dopo il “pieno impegno” della Banca centrale europea a “evitare qualsiasi frammentazione“, alla reticenza di una settimana fa sui dettagli di un nuovo scudo anti spread cui l’Eurotower è stata costretta mercoledì a dedicare un vertice d’emergenza per calmare l’ondata di vendite di titoli dei Paesi deboli dell’Eurozona. Nel mestiere di banchiere centrale la comunicazione è tutto e Christine Lagarde, a giudicare dalle reazioni di mercati ai suoi interventi nelle fasi più delicate della pandemia e ora della “tempesta perfetta” causata dall‘invasione russa dell’Ucraina, la maneggia con difficoltà. Non è una buona notizia per il Paese che deve rifinanziare un debito pari al 150% del suo pil e sulle cui sorti è iniziato un (nuovo) braccio di ferro tra Francoforte e gli investitori destinato secondo gli analisti a non esaurirsi a breve.
“Il comunicato di giovedì scorso era rimasto sul vago, scatenando un terremoto sui mercati. Quello di mercoledì cerca di metterci una pezza ma continua a non dare dettagli e lascia molti punti di domanda”, commenta l’economista Angelo Baglioni. “E’ evidente che Lagarde cerca di mediare tra le diverse posizioni ma non ha la credibilità e la visione chiara e strategica del predecessore”. Fin troppo facile ricordare che a Mario Draghi nel luglio 2012, al culmine della crisi dei debiti sovrani che arrivò vicina a spaccare l’Eurozona, bastò garantire che la Banca centrale avrebbe fatto “qualsiasi cosa servisse per preservare l’euro” per arginare la speculazione contro l’Italia e far invertire la rotta al differenziale tra Btp e Bund, che si era allargato fino a 536 punti base. Non servì intervenire davvero: le Outright monetary transactions presentate qualche mese dopo – operazioni potenzialmente illimitate di acquisto dei titoli di titoli di Paesi in “grave difficoltà macroeconomica”, che avrebbero dovuto in cambio firmare un memorandum con il Mes – non furono mai usate. Ora le parole non solo non bastano: tendono a peggiorare la situazione.
Certo non giova che i 25 membri del consiglio direttivo siano divisi sul ritmo a cui dovrà procedere la normalizzazione di una politica monetaria da anni ultraespansiva e accompagnata da massicci acquisti di titoli di Stato che hanno sostenuto la crescita economica e “narcotizzato” gli spread. E che i falchi come l’olandese Klaas Knot tifino pubblicamente, in chiave anti inflazione, per strette sui tassi superiori ai 50 punti base a settembre (dopo il rialzo di 25 punti annunciato per luglio). Ma di sicuro una settimana fa l’ex direttrice del Fondo monetario internazionale non è riuscita a calmare sul nascere le fibrillazioni inevitabili dopo che “persone coinvolte nelle discussioni” avevano fatto trapelare sul Financial Times l’intenzione della Bce di annunciare un nuovo strumento per contenere gli spread ed evitare lo spetto della famigerata frammentazione. Cioè l’aumento incontrollato dei rendimenti dei titoli di alcuni Paesi, fino alla potenziale rottura dell’Eurozona.
L’aspettativa a quel punto era stata creata: limitarsi a confermare che i proventi dei titoli acquistati con il programma pandemico Pepp che andranno in scadenza saranno reinvestiti in maniera flessibile – quindi se necessario privilegiando i bond degli “anelli deboli” – è stato considerato deludente. Come Baglioni aveva evidenziato in un’analisi su lavoce.info, lasciava molti dubbi su cosa l’istituzione di Francoforte sarebbe concretamente in grado di fare in caso di attacco sul debito italiano: “La Bce dovrà attendere che scadano titoli di altri paesi per acquistare Btp? Oppure sarà disposta ad anticipare l’acquisto di Btp per essere più tempestiva? Non lo sappiamo”. Secondo stime di Société Générale, se anche l’Eurotower reinvestisse l’intero flusso di obbligazioni tedesche e francesi in Italia la cifra a disposizione sarebbe molto inferiore agli acquisti netti di titoli italiani fatti finora. Di qui la fiammata dei rendimenti di Roma e Madrid e il pessimo segnale arrivato dall’asta dei Btp di martedì quando i tassi di quelli a 3 e 7 anni sono saliti ai massimi dagli anni della crisi dei debiti sovrani.
Il nuovo meeting del Consiglio direttivo convocato per correre ai ripari ha formalizzato l’impegno a varare un nuovo scudo ma ha anche preso tempo, rinviando tutto a data da destinarsi. “Il messaggio è che si dovrà aspettare almeno la prossima riunione del Consiglio, a metà luglio, e non è nemmeno detto che a quel punto arrivi il via libera”, spiega il docente della Cattolica di Milano ed ex membro del Banking Stakeholder Group della European Banking Authority. Buio fitto anche sulle condizionalità che accompagneranno il nuovo strumento: l’era dei memorandum con il Mes previsti dalle Outright monetary transactions messe a punto (e mai utilizzate) all’epoca di Draghi sembra definitivamente tramontata. Ma da cosa saranno sostituiti? L’impegno a rispettare il Patto di stabilità, ora sospeso e in fase di revisione?
La questione è cruciale perché il nuovo provvedimento sia promosso anche dai “falchi” e non sia bersagliato dai ricorsi. Isabel Schnabel, economista tedesca che fa parte del comitato esecutivo, martedì pomeriggio ha apparentemente aperto al nuovo strumento spiegando: “Non tollereremo cambiamenti alle condizioni finanziarie che vadano oltre i fondamentali e minaccino la trasmissione della politica monetaria“. Ma ha anche ricordato che al culmine della pandemia il programma di acquisti Pepp “da solo non ha potuto invertire la frammentazione”, che è rientrata solo “quando è stato annunciato un grande Recovery fund europeo“. Come dire: le azioni della Bce da sole non bastano.