Nel testo diventato legge la parte che riguarda il Csm è inefficace a evitare che le correnti continuino a decidere chi verrà eletto a palazzo dei Marescialli e poi ad accordarsi per spartirsi le nomine. Tutto il resto, invece (esclusa la sacrosanta stretta sulle porte girevoli) è pericoloso: dal fascicolo per la valutazione delle toghe alla valutazione degli avvocati sui magistrati, dal limite ai passaggi di funzioni alle sanzioni disciplinari per chi viola il decreto sulla presunzione d'innocenza
Per il pubblico è “la riforma del Consiglio superiore della magistratura“, varata per combattere il sistema delle famigerate correnti. In realtà il nome più indicato sarebbe “riforma anti-porte girevoli“, o ancora meglio “riforma anti-magistrati“. Nel testo diventato legge con l’approvazione al Senato, infatti, la parte che riguarda il Csm è minoritaria. E soprattutto è inefficace – dicono gli addetti ai lavori – a evitare che le correnti, i “partiti” della magistratura, continuino a decidere chi verrà eletto a palazzo dei Marescialli e poi ad accordarsi per spartirsi le nomine degli uffici più importanti. Tutto il resto invece riguarda l’ordinamento giudiziario, cioè l’insieme delle norme che regolano il reclutamento, lo status e le carriere di giudici e pm. Ed è qui che la nuova legge introduce le maggiori novità: la sacrosanta stretta sulle porte girevoli tra politica e magistratura, ma anche contenuti pericolosi come il fascicolo per la valutazione delle toghe, la valutazione degli avvocati sui magistrati, il limite a un solo passaggio di funzioni o le sanzioni disciplinari per chi viola il decreto sulla presunzione d’innocenza. “La riforma Cartabia consegna, ancor di più, la giustizia a quei potentati, interni ed esterni alla magistratura, che vogliono limitare l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario. Non eliminerà, anzi rafforzerà, il potere delle correnti, consentirà alla politica di influenzare e controllare l’attività delle Procure”, riassume il consigliere del Csm Nino Di Matteo.
Legge elettorale Csm – Per combattere le spartizioni al Csm si puntava tutto sulla modifica del sistema elettorale dei membri togati, cioè quelli scelti dalla magistratura al proprio interno. Finora esisteva uno strano collegio unico maggioritario in cui passavano tutti i primi classificati a livello nazionale, che rendeva difficile l’elezione di candidati non sponsorizzati dalle correnti. Ma invece di svoltare verso un sistema proporzionale – chiesto a gran voce dall’Associazione nazionale magistrati – la riforma ha messo una toppa peggiore del buco: d’ora in poi sette collegi binominali maggioritari, in cui cioè vincono i primi due classificati, eleggeranno 15 dei 20 togati (col ripescaggio di un miglior terzo). In questo modo, denunciano i magistrati, si crea una sorta di “bipolarismo giudiziario” tra le due o tre correnti più forti (i progressisti di Area e, a seconda dei casi, i conservatori di Magistratura indipendente o i centristi di Unicost) per cui sarà facile sapere in anticipo chi vincerà in ogni collegio. La ministra Marta Cartabia ha scelto di abbandonare anche la soluzione del suo predecessore Alfonso Bonafede che prevedeva piccoli collegi uninominali per incoraggiare l’elezione di candidati conosciuti sui territori. E soprattutto ha rifiutato di aprire a meccanismi di sorteggio dei candidati, chiesti da vari partiti della sua maggioranza e anche da una buona parte della magistratura.
Porte girevoli/eleggibilità – Lo stop alle porte girevoli è il tema che stava più a cuore al Movimento 5 Stelle e il motivo per cui i grillini hanno dato, nonostante tutto, l’assenso alla legge, mentre il Pd avrebbe voluto scelte più “soft”. La riforma infatti contiene una pesante stretta alle sovrapposizioni tra mandato politico e funzioni giudiziarie. Si prevede innanzitutto che non sarà più possibile esercitarli nello stesso tempo, nemmeno in distretti diversi (il caso più celebre è quello di Catello Maresca, giudice a Campobasso e insieme consigliere comunale a Napoli): “L’aspettativa è obbligatoria per l’intero periodo di svolgimento del mandato o dell’incarico di governo sia nazionale che regionale o locale e comporta il collocamento fuori ruolo del magistrato”, si legge all’articolo 17. I magistrati (art. 15) non saranno eleggibili nè potranno assumere incarichi di governo nazionale o locale “se prestano servizio, o lo hanno prestato nei tre anni precedenti (…) nella regione nella quale è compresa la circoscrizione elettorale”. Per essere eletti sindaco o consigliere comunale o assumere l’incarico di assessore comunale, invece, non bisognerà aver lavorato nei tre anni precedenti “nel territorio della provincia in cui è compreso il comune, o in province limitrofe”. In ogni caso, già all’atto dell’accettazione della candidatura sarà obbligatorio collocarsi in aspettativa senza assegni.
Porte girevoli/ricollocamento – In caso di mancata elezione non si potrà rientrare in ruolo nella stessa circorscizione in cui ci si è candidati, né nel distretto in cui si esercitavano le funzioni all’atto della candidatura. E in ogni caso il ricollocamento “è disposto con divieto di esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare o di pubblico ministero e con divieto di assumere incarichi direttivi e semidirettivi” (art. 18). Se invece si viene eletti (art. 19) il rientro nelle aule giudiziarie è precluso per sempre: i magistrati saranno collocati in appositi ruoli presso il ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio o l’Avvocatura di Stato. Le stesse regole valgono per il rientro da un incarico di governo non elettivo (componente dell’esecutivo o delle giunte regionali o comunali) se il mandato ha durata superiore a un anno. Chi invece rientra da incarichi apicali “tecnici” presso i ministeri (capo e vicecapo di gabinetto, segretario generale, capo e vicecapo di dipartimento) dovrà osservare un anno di “raffreddamento” fuori ruolo (negli emendamenti Cartabia erano tre), dopodiché – per altri tre anni – non potranno assumere incarichi direttivi o semidirettivi.
Separazione delle funzioni – Il testo prevede un limite drastico ai passaggi di funzioni tra magistratura giudicante e requirente: d’ora in poi sarà possibile esercitare questa facoltà una sola volta (al momento è possibile farlo per quattro volte). Non solo, ma il passaggio dovrà avvenire nei primi dieci anni di carriera (a meno che non si tratti di passaggio da pm a giudice civile e viceversa). Una norma che introduce una forma di separazione delle carriere “di fatto” e per questo è stata criticata dall’Associazione nazionale magistrati (Anm): secondo il sindacato delle toghe in questo modo “si allontana il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, ravvisando nel cambio di funzioni una esperienza patologica, da isolare e presto rimuovere, nella carriera del magistrato”. Quella sulla separazione delle carriere, peraltro, è una storica battaglia del berlusconismo: “È incredibile che quel disegno si stia realizzando in un momento in cui al governo non c’è solo il centrodestra, ma una coalizione che arriva fino al Pd e ai 5Stelle, partiti e movimenti che avevano fatto del contrasto a questo tipo di riforme un loro cavallo di battaglia politica”, ha detto al Fatto Nino Di Matteo.
Fascicolo per la valutazione – Un altro tema oggetto di scontro è l’introduzione – grazie a un emendamento di Enrico Costa – del “fascicolo per la valutazione” di ogni magistrato (art. 3), “contenente, per ogni anno di attività, i dati statistici e la documentazione necessari per valutare il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare” e “la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio”. Questo documento dovrà essere tenuto in considerazione dal Csm nel compilare le valutazioni di professionalità a cui a intervalli regolari sono sottoposti tutti i magistrati e che ne garantiscono l’idoneità lavorativa. Anche questa norma è stata assai criticata dalle toghe ed è una delle ragioni principali che ha convinto l’Anm a indire una giornata di sciopero lo scorso 16 maggio (che per la verità ha avuto un’adesione piuttosto bassa). Secondo Di Matteo, l’effetto del fascicolo sarà di “burocratizzare la magistratura, di gerarchizzare i singoli magistrati, di renderli attenti soltanto ai numeri e alle statistiche piuttosto che a rendere giustizia, di impaurirli, rendendoli più soggetti alla volontà dei capi degli uffici e più esposti a possibili interferenze esterne“.
Il voto degli avvocati sui magistrati – La riforma introduce anche il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, cioè gli organi ausiliari locali nel Csm, sui pareri che vengono trasmessi a Roma per fondare le valutazioni di professionalità dei magistrati. A differenza di quanto volevano ottenere i referendum sulla giustizia, però, questo voto sarà espresso solo quando cioè il Consiglio dell’Ordine abbia fatto una segnalazione formale di comportamenti scorretti da parte del magistrato che si deve valutare. E a votare non saranno tutti e due (o tre) gli avvocati membri del Consiglio, ma il voto sarà unitario ed espresso dal Consiglio dell’Ordine. Quello stesso avvocato che al mattino ha “difeso il suo assistito in un processo di omicidio o strage, il pomeriggio, al consiglio giudiziario” verrebbe chiamato “a rendere il parere per la valutazione di professionalità di chi ha rappresentato l’accusa in quel processo o di chi ha emesso la sentenza“, ha avvertito Di Matteo in audizione di fronte alla Commissione Giustizia del Senato.
Sanzioni per i pm che “parlano troppo” – Infine, c’è una norma che prevede sanzioni disciplinari per i pm che parleranno alla stampa in casi non permessi dal decreto sulla cosìddetta “presunzione d’innocenza”: il procuratore capo che – a insindacabile parere del ministro della Giustizia – convocherà una conferenza stampa o emetterà un comunicato senza le “specifiche ragioni di interesse pubblico” citate dal decreto, o non rispetterà (sempre secondo il ministro) “il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli“ rischierà l’ammonimento, la censura, la perdita di anzianità, persino la sospensione dalle funzioni o la radiazione. Punibile con le stesse sanzioni è anche ogni magistrato della Procura che violi il divieto “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie (di qualsiasi tipo, ndr) agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, a prescindere quindi anche dall’interesse pubblico, valutabile soltanto dal capo. “Il risultato è che nessuno farà più comunicati né conferenze, per non rischiare di vedersi applicare delle sanzioni in un momento successivo. In questo modo si condiziona profondamente l’indipendenza dell’autorità giudiziaria”, ha avvertito il consigliere Csm Giuseppe Cascini, pm a Roma.