L’effetto Conte non ha dato i risultati sperati. Nonostante i bagni di folla dell’ex presidente del consiglio, a Palermo la lista del M5s si è fermata al 6,45 per cento. Peggio è andata a Messina dove Valentina Zafarana, consigliera regionale da dieci anni, doveva tirare la volata capeggiando la lista anche da aspirante vicesindaca: nella città sullo Stretto, invece, non è stata raggiunta la soglia di sbarramento e il M5s non avrà nessuna rappresentanza in consiglio comunale (Zafarana, d’altronde, non è arrivata neanche prima tra i suoi). A Scicli, invece, il centrosinistra è stato battuto a sorpresa dalla candidata di Italia Viva, Caterina Riccotti (che ha indicato come vice un’altra donna), che andrà al ballottaggio: qui il M5s ha preso 154 voti soltanto. Una disfatta che ora crea non pochi malumori all’interno dei pentastellati e che rischia di far traballare primarie e alleanza. Troppi errori: “A partire da iniziative romane poco trasparenti che hanno portato il M5S a schiantarsi sotto il muro del 7% dei consensi”, dice Giampiero Trizzino, deputato regionale dal 2012, l’anno in cui i 5 stelle fecero il primo exploit in Sicilia. Il candidato sindaco doveva essere lui, ma ha poi fatto un passo indietro in nome dell’unità della coalizione. Una scelta che non ha portato risultati: “Sono stati fatti una serie di errori che, al netto della gestione umana e logistica della lista, avvenuta localmente, meritano risposta, cominciando dal metodo con il quale il M5s si è piegato nella scelta del candidato sindaco abdicando per il proprio. Insomma, in politica quando si perde bisogna avere la statura morale di ammetterlo e i responsabili politici devono assumersene le conseguenze”.
Nel giorno in cui Luigi Di Maio attacca la linea Conte anche in Sicilia c’è malumore. Trizzino è arrabbiato e sono in tanti che, pur non esponendosi, la pensano come lui: “Sembra chiaro da questo risultato che lì dove andiamo con una lista a traino di un candidato non nostro perdiamo consensi. Se continuiamo su questa strada, perderemo ancora”. Le analisi a posteriori all’interno del gruppo grillino sono chiare e potrebbero fare traballare l’alleanza con il Pd. Ma c’è chi fa notare: “Il voto d’opinione c’è ancora ed è ancora robusto: a Palermo abbiamo preso 12mila voti, di cui 6mila solo sul simbolo, niente preferenze, che vuol dire che non si era trascinati da candidati ma si voleva votare il simbolo. Dopodiché il M5s non è mai stato fortissimo alle Amministrative, ed è pur vero che nelle scorse di ottobre siamo andati bene ovunque, cioè quando avevamo candidati nostri. Su Palermo si è voluta fare una scelta di ampio respiro che guardasse in prospettiva, sapendo che stavamo sacrificando qualcosa ma in nome della coalizione”.
Lo sguardo era puntato sulle Regionali, in sostanza, sperando, tuttavia, di potersi sedere al tavolo delle primarie dopo le elezioni, forti di numeri a due cifre. Non è andata così e anche nel Partito democratico adesso si fanno strada incertezze su primarie e alleanze. Per questo si velocizzano i tavoli. Mentre sabato mattina è già prevista la conferenza stampa per annunciare ufficialmente le primarie. Si faranno – a questo punto pare certo – il 23 luglio, votando su sky vote e nei trenta gazebo che verranno allestiti nelle cinque province più importanti. Ma se sono certe le primarie, incerta pare la compattezza della coalizione e dei partiti che la compongono, per non dire dell’esito che ne verrà. A remare contro ci sarebbero anche i sostenitori dell’ex governatore Raffaele Lombardo, che aspirano ad un accordo col Pd, suggeriscono i più maligni all’interno della coalizione. Di sicuro c’è che il risultato elettorale ha incoronato a Palermo la lista di Carlo Calenda in favore di Fabrizio Ferrandelli, così che tutti adesso tornano a parlare di campo largo. Non lo disdegna Claudio Fava: “Da sempre abbiamo detto che siamo disposti a sederci al tavolo con tutti a patto che non siano tra quei partiti che hanno sostenuto il governo Musumeci”, dice l’ormai ex presidente della commissione regionale Antimafia, che poi tradotto vuol dire No a Lombardo, Sì a Calenda. Temporeggia, invece, il coordinatore regionale del M5s, Nuccio Di Paola: “Né campo largo, né campo stretto e non mi appassionano né le sigle, né i nomi, però dobbiamo costruire un abito su misura”.
Ma se dovesse davvero aprirsi il raggio della coalizione e il M5s andasse ad elezioni con Raffaele Lombardo e con Carlo Calenda, quanti lo seguiranno? “Sarebbe come tradire l’identità del Movimento, bisogna capire se si vuole davvero cambiare quest’isola oppure no”, mugugna qualcuno nelle retrovie. Di certo, di recente, non sono mancate le defezioni, la più vistosa quella di Dino Giarrusso che a pochi giorni dalle elezioni ha annunciato il suo abbandono, salendo sul palco di Cateno De Luca a Messina, in sostegno del candidato che ha poi vinto al primo turno: “A salire sul carro del vincitore siamo bravi tutti, costruire una coalizione comporta, invece, sangue freddo, pazienza e visione lunga”, ribatte qualcuno tra i grillini siciliani più longevi.