Ecuadoriano, una faccia che non si può dimenticare, una sconfitta mondiale che nessuno riesce a rimuovere: e quel nome, che ha accompagnato i peggiori incubi dei tifosi azzurri. Che fine ha fatto il fischietto sudamericano?
18 giugno 2002. “Again 1966”. La frase è scritta in bianco e copre tutta la curva dello stadio Daejeon, interrompendo una marea rossa sudcoreana che circonda il rettangolo di gioco dell’ultimo ottavo di finale del mondiale nippo-coreano. Sugli spalti sono in trentottomila a sognare di ripetere l’impresa compiuta 36 anni prima dal dentista Park Doo Ink e dai cugini della Corea del Nord. La Corea del Sud che cerca di emulare la Corea del Nord. Il calcio è capace anche di questo. Probabilmente mai, dal 1950, la penisola coreana si è trovata ad essere così vicina spiritualmente. Si, anche perché l’avversario è lo stesso, l’Italia. La nazionale di Giovanni Trapattoni è una delle squadre favorite per la vittoria finale. Lo dice la rosa a disposizione del tecnico di Cusano Milanino: Totti, Inzaghi, Vieri, Del Piero, Maldini, Nesta, Cannavaro e Buffon. Eppure La squadra ha faticato oltremodo nel girone. Tra errori arbitrali grossolani e prestazioni non eccezionali, gli azzurri sono riusciti a qualificarsi soltanto all’ultima giornata, grazie al pareggio contro il Messico e alla clamorosa sconfitta della Croazia contro l’Ecuador. In più l’Italia è una squadra arrivata all’appuntamento iridato con tanta pressione addosso. La delusione per la finale dell’Europeo persa due anni prima si fa ancora sentire e il Trap è finito nell’occhio del ciclone di stampa e tifosi per non aver convocato Roberto Baggio.
Il match contro la Corea del Sud (qualificata dopo aver estromesso dal torneo il Portogallo di Figo e Rui Costa) era il più temuto tra le file azzurre. Nei giorni precedenti, sia in Corea del Sud che in Italia, sono stati molti i riferimenti a quel “Again 1966” che ora accoglie gli azzurri a Daejeon. La tensione è alta. Data l’importanza della partita la Federcalcio italiana aveva chiesto alla FIFA un fischietto di caratura mondiale. Per tutta risposta viene sorteggiato uno sconosciuto arbitro ecuadoriano dallo sguardo assente e arrogante, e dal curriculum scarno: Byron Moreno. Passano appena sei minuti e Moreno fa subito capire agli azzurri l’aria che tira. Panucci e Seol si strattonano. Una situazione dubbia quanto frequente in area di rigore. Il fischio dell’arbitro arriva improvviso. È rigore. La sorpresa di Pizzul e Bulgarelli alla telecronaca è la stessa di milioni di italiani. A sistemare le cose però ci pensa Gigi Buffon. L’episodio galvanizza l’Italia. Totti dalla bandierina trova il colpo di testa di Vieri. Il Daejeon World Cup Stadium ammutolisce. L’Italia è in vantaggio. Nella ripresa la Corea del Sud cerca la reazione ma a salire in cattedra è invece ancora Byron Moreno. Del Piero viene colpito da una gomitata all’occhio ed esce. Zambrotta subisce un fallo che da regolamento sarebbe da rosso. Fuori anche lui. Su entrambi i casi però dalla giacchetta dell’arbitro non viene estratto niente. Nonostante tutto l’Italia continua a creare. Dopo due occasioni sprecate da Vieri, Totti viene atterrato al limite dell’area di rigore dopo aver superato mezza difesa sudcoreana. È fallo per tutti, ma non per Moreno. In cabina di telecronaca Pizzul perde per un istante la sua tradizionale flemma. Trapattoni in panchina calcia per la rabbia una bottiglietta d’acqua addosso a un suo assistente. La beffa per gli azzurri arriva a tre minuti dalla fine. Panucci sbaglia, Seol no. È 1-1. Prima della fine dei regolamentari Vieri ha però l’opportunità più clamorosa di tutte. Quella che spegnerebbe in un sol colpo tutte le polemiche. Ma l’attaccante dell’Inter da due metri calcia altissimo. Si va ai supplementari. Vige la regola del Golden Gol.
È qui che Moreno entra definitivamente in gioco. La tensione in campo aumenta, mentre in panchina il Trap fischia incessantemente. Gattuso prima subisce un colpo da teakwondo (anche questo non sanzionato) e poi spreca la palla dei quarti di finale, complice un miracolo di Lee. In mezzo l’episodio che cambia la partita. L’immagine di copertina di una delle pagine più discusse della storia dei mondiali. Totti si invola in area di rigore. Song tocca l’azzurro e il pallone. Se non è rigore non può essere simulazione. Ma è proprio quest’ultima l’interpretazione di Moreno. Totti – già ammonito – viene espulso tra un “è una comica” di Bulgarelli e un pugno che il Trap rifila al vetro in plexiglass che lo divide dagli addetti FIFA. Il colpo del K.O. è però la rete regolare annullata a Tommasi dal guardalinee argentino Ratallino. Il momento che svuota fisicamente ed emotivamente gli azzurri. A pochi minuti dai rigori un pallone arriva lentamente nel centro dell’area italiana. A sovrastare Paolo Maldini è un giocatore acquistato due anni prima dal Perugia di Gaucci. Si chiama Jung-Hwan Ahn. Buffon è battuto. L’Italia è eliminata. Per Maldini è l’ultima partita con la maglia della Nazionale. Per Ahn, invece, è di fatto l’ultimo giorno da giocatore del Perugia. E mentre il presidente Carraro minaccia azioni legali che poi non avranno seguito, la FIFA indaga la conduzione di Byron Moreno ma non arriva a nulla. Le avventure dell’arbitro ecuadoriano non finiscono però lì. Appena tre mesi dopo il fischietto torna sulle prime pagine dei giornali per un arbitraggio “anomalo” nella partita di campionato tra Liga di Quito e Barcelona Sporting Club. Rigore inesistente concesso ai padroni di casa e sei minuti di recupero, diventati poi tredici. Il tempo necessario per consentire alla Liga di Quito di ribaltare il risultato. La squadra della città in cui casualmente si è candidato al consiglio comunale (e dove poi non sarà eletto).
La carriera di Byron Moreno finisce qui. La radiazione della Federazione ecuadoriana non prende forma solo per le sue prestazioni in campo ma anche per quella mania di protagonismo che si traduce in varie apparizioni televisive in Italia. Ma il meglio Moreno lo deve ancora offrire. È il 2010. Sono passati 8 anni dal mondiale in Corea e Giappone. Byron Moreno è appena atterrato all’aeroporto JFK di New York, proveniente da Quito. Il volto è teso, gli indumenti leggermente rigonfi all’altezza dello stomaco e delle gambe mentre si avvicina ai controlli. Non è però sovrappeso. L’ex-arbitro ha addosso circa sei chili di eroina per un valore di mezzo milione di dollari. Il “colpo” gli vale 30 mesi di carcere da scontare nel Metropolitan Detention Center di Brooklyn. Se ne fa 26 per buona condotta, organizzando tornei di calcio e stirando vestiti agli altri detenuti. Questo è almeno quello che si narra. Una vicenda che si conclude con l’estradizione dal governo americano in Ecuador. Ma cosa pensa oggi, a 20 anni di distanza, Byron Moreno di quell’Italia-Corea del Sud? In un’intervista rilasciata alcuni mesi fa l’ex arbitro considera “Italia-Corea del Sud del 2002 sicuramente tra le mie tre migliori prestazioni in carriera. Che voto mi darei? 8.5 pieno. Ho commesso un solo errore: non aver espulso un calciatore coreano per il fallo su Zambrotta“. Sull’espulsione di Totti invece “il calciatore azzurro inciampa e cade provando a simulare un fallo. Il regolamento prevedeva il giallo per simulazione. Ho rispettato le regole, le immagini parlano chiaro. Totti non protesta, gli unici a farlo sono Vieri e Di Livio”. E il fuorigioco fischiato a Tommasi? “Quell’azione non è di mia responsabilità, ma dell’assistente argentino Jorge Ratallino. Lui ha alzato la bandierina e mi sono fidato. Era impossibile per me sapere se Tommasi fosse o meno in posizione irregolare dalla prospettiva che avevo”.