Ci vorranno dieci anni perché l’economia russa torni ai livelli del 2021. A meno che Mosca non adotti riforme adeguate al contesto delle sanzioni occidentali per l’invasione dell’Ucraina, che non hanno precedenti. A sostenerlo è il numero uno di Sberbank, il principale istituto di credito russo.

“Se non si fa nulla nella situazione attuale, il ritorno dell’economia russa al livello del 2021 potrebbe richiedere circa 10 anni”, ha dichiarato venerdì Herman Gref intervenendo al Forum economico internazionale annuale della Russia a San Pietroburgo.

Secondo uno scenario di “inerzia”, Sberbank prevede che il PIL russo scenderà del 7% nel 2022 e del 10,3% nel 2023 rispetto al 2021, anno in cui è cresciuto del 4,7%, raggiungendo quota 1,77 trilioni di dollari. Il calo tornerebbe a una sola cifra negli anni successivi e arriverebbe a -0,1% nel 2030, secondo una slide delle previsioni dell’istituto presentate all’evento annuale della Russia per gli investitori.

Tuttavia Gref ha sottolineato che la Russia ha riorientato il 73% delle consegne di petrolio ai Paesi dell’Est nei mesi di aprile e maggio. Gref ha ricordato che il 56% delle esportazioni russe e il 51% delle importazioni sono dovute a Paesi che hanno imposto sanzioni contro la Russia: “Questa è una minaccia per il 15% del PIL del Paese”.

Giovedì la governatrice della Banca Centrale Russa aveva smorzato le speranze di un ritorno agli indicatori pre-invasione. “Le condizioni esterne sono cambiate per molto tempo, se non per sempre”, ha detto Elvira Nabiullina allo stesso Forum: “È ovvio a tutti che non sarà più come prima”.

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