A pochi giorni dalle comunicazioni di Draghi alle Camere, nel Movimento è la resa dei conti tra i leader. E anche se la capogruppo in Senato assicura che lavoreranno per mediare con la maggioranza, partono le accuse incrociate tra ministri e viceministre. I 5 stelle sembrano a un passo dalla scissione
Doveva essere l’occasione per far sentire la voce del Movimento 5 stelle nel governo, si è trasformata nella resa dei conti definitiva tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Quasi sette giorni dopo il crollo M5s alle elezioni amministrative e alla vigilia delle comunicazioni di Mario Draghi in Parlamento, nel Movimento è scontro aperto sulla questione dell’invio di nuove armi all’Ucraina. In un clima di accuse incrociate che, così plateali, non hanno precedenti, la lite è scoppiata sulla bozza di risoluzione alla quale stavano lavorando alcuni senatori. Il motivo? Si chiede al governo l’impegno a non inviare più armi a Kiev. “Solo un punto di partenza”, si è affrettata a dire in tarda mattinata la capogruppo a Palazzo Madama Mariolina Castellone. “Stiamo lavorando al testo della maggioranza”. Ma la palla è stata presa al balzo dai dimaiani che, da ormai due giorni, accusano i contiani di voler terremotare l’esecutivo. “Così mettono a rischio la sicurezza dell’Italia”, è stato il commento di Luigi Di Maio. Conte tace, ma ha mandato avanti il vice Michele Gubitosa: “Fango inaccettabile, è un punto di non ritorno”. Mai fino ad ora si era arrivati a un muro contro muro pubblico e con toni così pesanti. Tanto che, ogni ora che passa, sembra sempre più impossibile ricucire.
Scambio di accuse tra ministri e vertici M5s – Ma cosa è successo oggi per far precipitare così in fretta le cose? E’ bastato che, in tarda mattinata, Corriere della sera e agenzie di stampa anticipassero i contenuti della bozza di risoluzione del M5s e subito sono iniziati gli attacchi, da una parte e dell’altra. E soprattutto tra ministro e viceministre. Di Maio, Castelli e Todde infatti, proprio stamattina presenziavano insieme a un evento della Confcommercio di Frosinone a Gaeta e, proprio da lì, hanno aperto le polemiche. La prima ad affrontare la questione è stata la viceministra M5s dell’Economia Laura Castelli, nota per essere molto vicina a Di Maio. Commentando la bozza, ha detto senza esitazione: “Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia“. Poco dopo, lo stesso ministro degli Esteri ha rincarato la dose ed è tornato ad accusare la linea del suo stesso partito: “C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia“. Sono frasi non molto diverse da quelle che Di Maio aveva pronunciato già ieri, ma ancora nessuno aveva visto i contenuti della bozza. E se fino a poche ore fa sembravano provocazioni ambigue, oggi suonano come lo strappo definitivo.
Infatti, se Giuseppe Conte tace, a parlare in difesa della linea ufficiale sono stati i vicepresidenti Alessandra Todde e Michele Gubitosa. La prima, sempre da Gaeta, ha dato una storta di ultimatum: “Se stiamo per cacciare Di Maio? Parlando in una certa modalità ci si sta ponendo fuori dal Movimento”. Ancora più duro Gubitosa: “Le sue parole sono fango inaccettabile sul Movimento 5 stelle e la sua comunità, nonché un danno all’Italia tale da rappresentare un punto di non ritorno”. E ancora, lui che solo ieri aveva detto che “bisogna chiedersi se Di Maio rappresenta il M5s nel governo” (intervista a Fanpage), oggi è stato ancora più netto: “È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale”.
In sostegno di Di Maio, si sono mossi alcuni dei parlamentari a lui più vicini e hanno rilanciato le parole dell’ambasciatore russo in Italia Razov che, in un’intervista pubblicata oggi da Scenari internazionali, ha detto: “La logica della massiccia fornitura di armi all’Ucraina, a quanto mi risulta, è lungi dall’essere condivisa da tutti, anche in Italia“. Ad esempio, secondo il senatore Primo Di Nicola quelle parole “sembrano purtroppo un plauso alle intenzioni espresse dalla risoluzione M5s. L’endorsement di Razov ci riempie di imbarazzo e vergogna”. E ha chiuso: “Cosa hanno in mente i vertici del M5s? Spero ci ripensino per il bene dell’Italia”. Intanto il senatore Sergio Vaccaro ha provato a dire che “la bozza non era condivisa” ed è stata fatta uscire “con l’intento di spaccare”. Ma ormai sembra davvero troppo tardi perché si possa fermare il corso degli eventi.
Il nodo armi e i tentativi di mediazione nella maggioranza – Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema che agita il Movimento ormai da mesi. Conte, dopo il primo voto a favore all’inizio del conflitto, si è sempre schierato contro. E proprio l’ex presidente del Consiglio ha più volte ribadito che i 5 stelle non avrebbero più sostenuto l’invio di nuovi armamenti. Finora però, non c’erano state occasioni per andare oltre i proclami. Il dibattito si è riaperto alla vigilia dell’intervento di Mario Draghi in Aula, previsto per il 21 e il 22 giugno in vista del Consiglio Ue, e proprio mentre i delegati della maggioranza stanno trattando per arrivare a una risoluzione sull’Ucraina che metta tutti d’accordo. Venerdì 17 c’era stato un altro incontro tra i delegati della maggioranza: hanno trovato l’intesa su tutta l’impostazione generale del testo, ma si è deciso di rinviare il “nodo armi” a lunedì. “Non ci sarà un testo separato”, erano le ultime indiscrezioni arrivate dalla maggioranza. “Ci sono le condizioni per una mediazione”, assicuravano. Ma questo era poco prima che nel M5s iniziassero le accuse incrociate.
La bozza del documento M5s – Che fosse condivisa o meno, una bozza elaborata dai senatori M5s è stata consegnata alle agenzia di stampa. Nel testo si chiede chiaramente l’impegno del governo perché “non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”. La premessa è che “il conflitto in Ucraina dura ormai da oltre 100 giorni e sta assumendo sempre più le caratteristiche di una guerra di logoramento segnata dal mancato rispetto del diritto internazionale umanitario”. Inoltre, si legge ancora, “dallo scoppio del conflitto l’Unione Europea ha inviato forniture militari all’Ucraina per almeno 2 miliardi di euro” e “Stati Uniti e Regno Unito” lo hanno fatto “rispettivamente per 4,6 miliardi e un miliardo di dollari ed hanno già deciso ulteriori e ancor più consistenti forniture (anche di armi a lunga gittata)”. Quindi la bozza parla dell’Italia e chiede un maggiore impegno a livello diplomatico: “L’Italia ha già emanato 3 decreti ministeriali che hanno previsto l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari; il supporto fornito in questi mesi dall’Unione Europea all’Ucraina da un punto di vista economico e finanziario, nell’accoglienza dei profughi e nonché nel sostegno alla capacità ucraina di difesa, dovrà essere accompagnato da un rafforzamento dell’azione diplomatica vista l’urgenza che il perdurare del conflitto impone”.
A un passo dalla scissione? – I 5 stelle, dalla loro nascita a ora, sono stati descritti come a un passo dall’implosione decine e decine di volte. Ma mai come in questo momento la scissione sembra possibile. E di fatto è già avvenuta. Dopo le accuse plateali tra Di Maio e Conte sulla sconfitta alle amministrative, ma soprattutto sulla linea da tenere in politica estera, pare davvero difficile riuscire a ricucire. A dimostrarlo sono le accuse pubbliche e non più le guerre intestine a suon di indiscrezioni: le fazioni interne non temono più di mostrarsi, segno che un piano B esiste ed è già in atto. Senza contare che le partite in gioco questa volta sono tante e vanno al di là dell’invio della armi all’Ucraina. Una più di tutte preoccupa la pattuglia di parlamentari: il voto sulla regole del secondo mandato. Gli iscritti saranno consultati a breve e, soprattutto dopo l’assist di Beppe Grillo a Conte perché le regole non cambino, molti degli eletti sentono di non avere più speranze. Quindi sono pronti a tutto, anche a valutare rotture e nuove esperienze. Ecco perché, mai come in questo momento, i prossimi giorni saranno decisivi per conoscere le sorti del Movimento 5 stelle.