Neppure se l’avessero fatto apposta gli europei sarebbero riusciti a creare una tempesta economica e finanziaria perfetta come quella attuale. Dopo decenni di crescita e di innovazione tecnologica siamo ripiombati negli anni Settanta: inflazione galoppante, guerra in alcuni paesi produttori di materie prime strategiche, caduta dei salari reali, rallentamento della crescita economica, aumento dei tassi d’interesse e tumulto a piazza affari. Mancano solo le Brigate Rosse, l’Ira, l’Eta e la leva militare negli Usa per guerra in Vietnam per ottenere de-ja-vu storico perfetto.
Negli anni Settanta due guerre posero fine ad un lunghissimo periodo di crescita e prosperità, molto simile a quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni. La guerra del Yom Kippur del 1973 e quella tra Iraq ed Iran del 1980. Entrambe causarono una contrazione dell’offerta di petrolio che ne provocò un aumento improvviso dei prezzi. Negli anni Settanta, però, i paesi importatori non avevano nessun potere nei confronti dei paesi produttori. Oggi la decisione di non acquistare più petrolio e gas naturale dalla Russia è stata presa da noi europei. Perché questa decisione è importante? Vediamolo.
L’embargo del 1973 che fece quadruplicare i prezzi del petrolio quasi nottetempo fu un evento di portata mondiale, tutti ne risentirono e quindi si dovette correre ai ripari usando organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario. A seguito dell’aumento vertiginoso delle entrate in dollari nella bilancia dei pagamenti dei paesi produttori di petrolio, il Fmi iniziò il riciclaggio dei petroldollari, incanalò questa liquidità nel sistema finanziario occidentale. I petroldollari sostennero l’economia americana e quella occidentale attraverso investimenti principalmente finanziari.
Oggi la situazione è completamente diversa. Paesi emergenti come la Cina, l’India ed una buona fetta del continente africano non partecipano all’embargo ed acquistano petrolio e gas russo in rubli a prezzi privilegiati, stabiliti da contratti bilaterali. Grazie al fracking, gli Stati Uniti sono tornati ad essere un esportatore netto di petrolio e gas naturale, e quindi beneficiano dell’aumento del prezzo, nonostante partecipino alle sanzioni. L’improvvisa impennata della domanda energetica europea è stata positiva per gli Stati Uniti, ha assorbito l’aumento di capacità produttiva iniziato nel 2017 e programmato per soddisfare l’ascesa futura della domanda asiatica. La Russia, come avvenne negli anni Settanta con i paesi arabi produttori di petrolio, si è trovata a dover gestire un improvviso aumento delle entrate energetiche nella bilancia dei pagament, – e già la contrazione della domanda europea non ne ha fiaccato le finanze grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi -, entrate a quanto pare in gran misura in rubli. Ma certo non verrà a riciclarle da noi.
Morale, la situazione in Europa è critica come lo era negli anni Settanta, ma non nel resto del mondo, e questa criticità viene messa in evidenza dal ritorno di un’inflazione galoppante. Negli Stati Uniti, invece, l’impennata dei prezzi è dovuta alla crescita sostenuta delle domanda interna nel post Covid. Tanto per capire, il prezzo della benzina negli Stati Uniti è la metà di quello che paghiamo in Europa, i salari dei lavoratori privi di qualificazione sono aumentati dal 2019 e continuano a salire per attirare forza lavoro, l’offerta di lavoro continua a crescere. Riequilibrare l’economia americana sarà più facile perché è essenzialmente una questione interna legata, riequilibrare l’economia europea è molto più complicato a causa della dipendenza dal petrolio e dal gas estero.
Sapevano gli americani che lanciare la campagna di sanzioni contro la Russia avrebbe fiaccato noi europei e rafforzato la propria economia energetica? E’ chiaro che la risposta è positiva, Washington non avrebbe mai preso una decisione tanto negativa per la propria economia. Noi invece sì.
Adesso che la guerra in Ucraina sta diventando una realtà di lungo periodo e che fare il pieno di benzina costa quanto un biglietto aereo low cost, ci si accorge che siamo noi quelli che stanno peggio di tutti. Persino la politica di armare l’Ucraina è più positiva per gli Stati Uniti, dove si trova l’epicentro dell’industria bellica occidentale e spera che i governi continuino a spedire armi ed armamenti svuotando i magazzini militari e così facendo dando spazio all’acquisto di nuove armi, più moderne e micidiali. Altro pilastro della politica delle sanzioni l’embargo su tutti i prodotti russi, e così non solo si è chiuso l’accesso del Vecchio Continente a fonti energetiche a prezzi competitivi, con un colpo di spugna è scomparso anche il mercato russo per i nostri esportatori e per l’industria del turismo. Voilà, la crisi energetica ed il ritorno agli anni Settanta in Europa. E la Russia? Dopo lo choc iniziale l’economia sembra riprendersi, anche grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi energetici.
Una domanda: ma che succederà a guerra finita? Ipotizzando che Putin perda, cosa pensano i nostri leader europei che succederà in Russia? Un’elezione democratica? O il caos che abbiamo visto negli anni Novanta. Sia che Putin perda o vinca quel petrolio e gas naturale a basso prezzo non lo vedremo più! Riflettiamo su questo punto.
La cosa più triste è che alla guida dell’Italia durante questo disastro di politica estera c’era l’uomo che ha salvato l’Europa dalla crisi del debito sovrano, così almeno si diceva. Ma stampare soldi, va detto, è molto, molto più semplice di guadagnarli.