Società

Delitti, attenzione allo stigma sociale verso la sofferenza psichica

In questi giorni i giornali riportano casi di omicidi efferati tra le mura domestiche: uomini contro mogli, figli contro genitori, madri contro figli, etc. Molte persone sono impaurite e si chiedono in modo ossessivo: “Capiterà anche a me di perdere la ragione e in un impulso incontrollabile uccidere qualche mio caro?”.

Nella mia esperienza di psicoterapeuta emerge che questi eventi sono sempre caratterizzati da una lunga storia di sofferenza che è stata misconosciuta per vergogna (non voglio farmi curare perché dallo psicoterapeuta vanno i matti) o trascurata per incomprensione (mia moglie o mio marito affermano di soffrire ma non sono malate, sono cattive, forse stupide, certo indemoniate). Insomma la causa primaria degli eventi tragici in base alla comprensione, a posteriori, dei casi clinici è frutto dello stigma sociale verso la sofferenza psichica.

Per stigma si intende definire l’immagine negativa che la malattia mentale ha avuto nei secoli (i malati venivano bruciati come streghe o internati e uccisi perché diversi dagli altri). Anche ora, in una società più acculturata e capace di accedere a informazioni scientifiche su internet, permane un alone negativo sulla sofferenza psichica. Chi ne soffre si vergogna perché si sente incapace, visto che i familiari gli dicono “tirati su, datti da fare”. Nessuno chiederebbe a una persona con una gamba rotta di fare una bella corsa per stare meglio, mentre molti spronano una persona depressa o psicotica a uscire con gli amici e farsi due belle risate. Chi è sofferente non ha bisogno di questi stupidi consigli che lo fanno sentire ancora più incompreso. Avrebbe necessità di qualcuno che gli dica “capisco che stai soffrendo, puoi farti curare dai medici”.

Lo stigma sociale alimenta il misconoscimento della sofferenza che se non curata per mesi o anni può portare a eventi tragici. A loro volta queste terribili vicende familiari, in cui si concretizzano omicidi o suicidi, determinano un peggioramento dello stigma sociale. Si crea in questo modo un circolo vizioso di sofferenza abbandonata a se stessa che alimenta l’idea che non si possa intervenire per lenirla. In realtà con i mezzi attuali tutte le sofferenze psichiche possono essere curate con un notevole miglioramento. Non tutti i malati guariranno completamente, anche perché la sofferenza mentale è pervicace, ma avranno miglioramenti che porteranno a una vita migliore.

Sinceramente mi arrabbio molto quando i giornalisti scrivono di “impulsi incontrollabili” o di persone che a detta dei vicini “erano tranquilli”. Mi pare che i giornalisti dovrebbero fare uno sforzo culturale maggiore, informarsi, leggere sull’argomento. Scoprirebbero che in Italia e nel mondo ove vengono attuate ricerche attendibili il 30% della popolazione soffre di un disagio psichico. Sembra tanto ma anche da un punto di vista logico ha una sua ragionevolezza. Più un sistema è complesso più può dare origine a difficoltà come capiamo, a nostre spese, quando comperiamo una macchina dotata di svariati accessori. Il sistema nervoso è il meccanismo più complesso e sofisticato che esista per cui è logico che possa determinare tanti grattacapi ad ognuno di noi.

Riconoscere da parte dei giornalisti la realtà di una sofferenza psichica molto diffusa aiuterebbe il paziente a non sentirsi solo, a capire che può farsi aiutare, che può trovare un sollievo alle sue sofferenze. I mezzi di informazione dovrebbero rifuggire i titoli sensazionalistici in cui parlano di impulso sconosciuto (evoca l’idea del passato in cui un demone si era impossessato della persona). Bisogna parlare di sofferenza che doveva essere curata e spronare chi ne soffre ad accedere alle cure mediche e psicologiche. Generalmente uno di questi eventi tragici non è solo frutto di una persona malata ma di un contesto familiare, sociale e relazionale che ha lasciato solo il sofferente per anni. Combattere contro lo stigma sociale è l’unico modo per affrontare il problema. Non servono leggi draconiane, punizioni o denigrazioni a posteriori del colpevole.