In "Contro il fascismo nascente" (curato da Luca Cangemi) sono racconti alcuni degli scritti meno conosciuti del fondatore del Pci, datati dal 1920 al 1926, l'anno dell'arresto. In quelle riflessioni il politico sardo, inascoltato, avvertiva della pericolosità del fenomeno che avrebbe portato all'annientamento della democrazia. E, a dispetto della sua figura idealizzata e un po' dimenticata, parlava di un'opposizione anche armata
“La guerra è la guerra”: in un articolo non firmato, apparso il 31 gennaio 1921 nella rivista L’Ordine nuovo, Antonio Gramsci parlava in modo chiaro. Alla guerra, sosteneva, si risponde con la rivoluzione, “guai a chi la scatena”, perché “in guerra i colpi non si danno a patti”. In occasione del centenario della marcia su Roma, alcuni degli scritti meno conosciuti di
Gli albori del regime, il delitto Matteotti, le tesi di Lione e poi le dinamiche di consenso e la necessità di studiare la creatura politica di Benito Mussolini per contrastarla: mettendo in fila questi articoli, si capisce come Gramsci assistette alla nascita e allo sviluppo del fascismo ed esortò a opporvisi, anche con la forza. Scopo della raccolta è innanzitutto smentire la visione gandhiana dell’autore, per coglierne l’attualità. “Spesso si tende – spiega Cangemi – a suddividere gli esponenti del Comunismo italiano in due categorie: quelli che possono essere condannati come criminali e i politici la cui vita non permette questo stigma, come Gramsci. Quelli come lui vengono svuotati, resi delle brave persone, anche di grandi qualità morali e intellettuali ma staccati dal loro pensiero”. Con Gramsci è successo questo: è stato idealizzato e poi dimenticato. “Ma lui – spiega Cangemi – non era un santo, anzi, gli articoli dimostrano che era un combattente. E da combattente invitava, poi essendo drammaticamente battuto, alla resistenza anche armata contro il fascismo nascente”.
Capendo di trovarsi davanti al germe della dittatura, dal 1920 Gramsci sente il bisogno di approfondirlo: nei suoi scritti non c’è una prospettiva moralistica, ma quella del politico e dello studioso che analizza un nemico che non ha mai visto prima ma che in parte aveva previsto. Da articoli come Il popolo della scimmia o Italia e Spagna vengono fuori meccanismi di propaganda, di restrizione degli spazi della democrazia, di controllo dell’ideologia politica e di internazionalizzazione. Dinamiche molto simili a quelle delle nuove destre del mondo. “Il fascismo – sottolinea Cangemi – non è un tema risolto nella storia d’Italia. Per una serie di ragioni anche pratiche: da un lato, apparati e istituzioni risalenti al ventennio sono stati riciclati, dall’altro, la società italiana continua a dare una risposta violenta e reazionaria alle difficoltà e alle ingiustizie”. Leggere Gramsci oggi serve a capire perché nasce, di cosa si alimenta e come si annienta questo tipo di radicalismo. “Se abbiamo assistito all’attacco alla sede della Cgil da parte di gruppi estremisti e se i primi partiti nei sondaggi promuovono certe idee, vuol dire che c’è un’eredità che va analizzata perché pericolosa, già nelle cause che hanno portato al fascismo”.
Anche per questo motivo, il libro ha un intento pedagogico e si rivolge soprattutto alle nuove generazioni: è breve, circa 150 pagine, ha una veste grafica forte, e una struttura che associa ogni scritto a una frase chiave per il pensiero che il testo esprime. “I giovani – dice Cangemi, che insegna a scuola – oggi non conoscono Gramsci, non per colpa loro, ma per un clima politico che regna da circa 30 anni in Italia. Eppure, senza voler appiattire la storia, l’importanza del ragionamento sul fascismo è attuale e necessaria”.
Il libro è a prova di profani: contiene un glossario che aiuta a capire l’autore e delle note esplicative, nella quarta di copertina, ci sono cinque modi per conoscere Gramsci attraverso musica, televisione, libri, viaggi e opere d’arte. Ma più che le indicazioni per leggere l’autore, sono le istruzioni per capire perché, quasi 80 anni dopo la caduta del regime, l’ideologia fascista continua a sedurre l’Italia.