De Giorgi vs Italia (2022) è la quinta condanna che la Corte di Strasburgo infligge all’Italia in tema di violenza contro le donne e segue di pochi mesi quella di Landi vs Italia (per un approfondimento sulle cinque condanne di Strasburgo segnalo l’articolo di Simona Rossitto e Livia Zancaner). Dopo il caso Talpis vs Italia (2017) che ha portato il nostro Stato sotto procedura di vigilanza rafforzata, c’erano state le condanne V.C. vs Italia (2018) e di J.L. vs Italia (2021). La decisione della Corte europea dei diritti umani si diffonde sulla stampa mentre sale l’indignazione per i recenti femminicidi avvenuti a Vicenza e a Modena ed è notizia di ieri mattina, il femminicidio di Donatella Miccoli per mano del marito, Matteo Verdesca. E ancora, il 14 giugno a Udine, Paolo Castellani ha ucciso Elisabetta Molaro e a Napoli, Filomena Galeone è stata assassinata dal figlio adottivo. Sette donne uccise in una decina di giorni. Quarantotto dall’inizio dell’anno sulla base di una rassegna stampa.
L’assassinio di Donatella Miccoli non è stato preceduto da richieste di aiuto o da denunce (i quotidiani non ne parlano) ma non si può dire la stessa cosa per i femminicidi avvenuti a Vicenza e a Castelfranco Emilia (Modena) dove le violenze erano state denunciate. Erano arrivate sui tavoli delle Procure, negli incartamenti dei servizi sociali, sul tavolo del giudice del tribunale civile di Vicenza che stava seguendo la causa di separazione tra Lidia Milikovic e Zlatan Vasiljevic.
Il processo penale di Zlatan Vasilievic invece si era concluso con una condanna mite, 1 anno e 10 mesi in primo grado poi ridotti a 1 anno e 6 mesi dalla Corte d’Appello di Venezia. Ne era seguita la revoca di ogni misura cautelare, una valutazione positiva redatta dall’associazione Ares che lavora con i maltrattanti e infine un affido condiviso.
Nessun processo e nessun rinvio a giudizio per Salvatore Montefusco prima del duplice femminicidio di Gabriela Trandafir e della figlia Renata, nonostante tre denunce sulle quali pendeva la richiesta di archiviazione del Tribunale di Modena. Tantoché la dichiarazione del legale di Montefusco suona come una pesante offesa nei confronti delle vittime, una delle quali appena 22 enne, quando scusa le violenze e il duplice femminicidio: “Il mio cliente si sentiva vessato”. Si rispolvera la cara vecchia provocazione e si rovescia la responsabilità sulle vittime forse la motivazione attecchisce ancora nelle aule dei tribunali?
Dobbiamo fronteggiare ancora, una sottocultura granitica, arcaica, profondamente misogina che continuerà a mietere vittime se non sarà sradicata.
Le donne sono assassinate da mariti padroni quando chiedono il rispetto dei loro diritti e spesso muoiono mentre attendono che i tribunali si pronuncino sulle denunce. E’ superfluo dover ricordare per l’ennesima volta, i dati del Grevio, quelli della Commissione Femminicidio, il report delle avvocate Dire sul non riconoscimento della violenza nei tribunali civili e minorili, il problema della banalizzazione del maltrattamento e quello della confusione tra violenza e conflitto. Quando le donne sono in pericolo non viene fatta nessuna valutazione del rischio e non si attivano reti di protezione mentre permane una costante diffidenza per le loro denunce.
Dopo la condanna per il caso Talpis, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio europeo dell’Unione Europea) ha mantenuto l’Italia sotto procedura di sorveglianza vigilata e proprio sulla base delle informazioni fornite dal governo Italiano è emerso che in Italia troppi procedimenti per violenze domestiche terminano con una sentenza di “non luogo a procedere” già al termine delle indagini preliminari. Un sintomo di inefficienza del sistema giustizia che viene interpretato come un proliferare di “false denunce” alimentando i pregiudizi sulle donne.
Questa ennesima condanna della Corte di Strasburgo come le altre che l’hanno preceduta condanna ciò che, come moderne Cassandre, le donne dei Centri antiviolenza della rete D.i.Re, delle associazioni di madri vittimizzate dal sistema giudiziario, denunciano da anni restando inascoltate. Le istituzioni italiane sono lente e inefficaci nella risposta alle vittime di violenza. Anche questa volta, come nel caso Talpis, l’Italia è stata condannata per la violazione dell’art 3 della Cedu – Convezione europea dei diritti umani che vieta trattamenti inumani e degradanti. Ora lo Stato italiano dovrà risarcire la vittima con 10 mila euro oltre a rifondere le spese legali.
Silvia De Giorgi si rivolse al tribunale di Padova e sporse ben 7 denunce tra il 2015 e il 2019, dopo aver subito violenze fisiche, psicologiche, economiche e minacce. Le indagini pendono ancora a distanza di 7 anni mentre la segnalazione fatta dai servizi sociali sulla violenza assistita subita dai bambini non ha avuto alcun seguito.
La Corte di Strasburgo scrive che le autorità italiane erano a conoscenza della situazione di violenza domestica o avrebbero dovuto esserlo e che esisteva un rischio reale a causa dei maltrattamenti commessi dal marito della ricorrente. Si sarebbero dovute adottare misure adeguate per proteggere “la ricorrente e i suoi figli” ma non è stata esercitata la “dovuta diligenza” nemmeno di fronte alle continue denunce fatte da Silvia de Giorgi, rivelando che c’era un’escalation delle violenze.
Manuela Ulivi, avvocata e consigliera D.i.Re denuncia le criticità del sistema: “I governi che si sono succeduti negli ultimi 10 anni hanno scelto di puntare sulla repressione e l’azione penale come risposta alla violenza contro le donne, dalla legge sul femminicidio al Codice Rosso, ma ben poco è stato fatto per un cambiamento culturale o per formare i magistrati. Assistiamo all’emersione di pregiudizi soprattutto nei procedimenti civili per separazione. Le denunce delle donne non solo non sono prese in considerazione ma sono guardate negativamente e interpretate come un colpevole innalzamento del conflitto e quindi giudicate strumentali e non veritiere. Ai percorsi dei maltrattanti non segue alcuna azione di monitoraggio o valutazione dell’efficacia dei percorsi e non viene fatta una valutazione del rischio o di recidiva. Sono poche le figure della magistratura impegnate a intervenire con coscienza per arginare il fenomeno. E’ venuto il momento di chiedere alla magistratura un impegno serio per sostenere le donne che denunciano le violenze, contrastando i pregiudizi che impediscono una analisi corretta della violenza nelle relazioni di intimità e causano la rivittimizzazione istituzionale”.
La sfiducia delle donne nel sistema giustizia è tale che Emanuela Natoli, presidente dell’associazione MovimentiAMOci Vicenza, sabato mattina ha deposto una corona funebre davanti al tribunale di Vicenza “Allo Stato defunto che non protegge donne e bambini” mentre il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna insieme alla Casa delle donne di Modena ha organizzato dalle 9 del 23 giugno, il sit-in “Sorella Io Ti credo” davanti al tribunale di Modena. Hanno aderito D.i.Re Donne in rete contro la violenza e altre 14 associazioni.