La storia è il rovesciamento esatto dell’idea di poema omerico. Perché al centro della narrazione non c’è il nostos, quel desiderio sfibrante di tornare a casa, ma la malinconia per non aver ancora trovato un luogo dove poter mettere radici. È un qualcosa che ha a che fare con il concetto di eterno ritorno, un’immagine che a forza di essere ricopiata con la carta carbone ha finito suo malgrado per diventare un classico. Perché ogni volta che arriva giugno Álvaro Morata deve fare i conti con un destino sempre in bilico, con la constatazione di essere un superlativo relativo e mai assoluto. Un ottimo giocatore che nessuno vuole accollarsi davvero. Soprattutto a titolo definitivo. È stato così per anni. Ed è così anche in questo torrido inizio di mercato.
Mercoledì l’attaccante è tornato ufficialmente all’Atletico Madrid. Il termine per riscattarlo è scaduto e la Juventus non ha voluto offrire quella trentina di milioni di euro necessari a portarlo a Torino in modo permanente. Gli operatori ci tengono a sottolineare che non è una bocciatura. È solo il frutto di una valutazione. Perché i bianconeri se lo riprenderebbero volentieri. Ma in prestito. Oppure a prezzo di saldo. È una scelta che si basa sulla certezza che i “materassi” non ne vogliano più sapere di lui. E sarebbero disposti anche a scendere a patti pur di liberarsi del suo ingaggio. Una stasi che qualche giorno fa è stata sintetizzata perfettamente dai quotidiani spagnoli, che hanno sottolineato come Juventus e Atletico siano in qualche momento “costrette a venirsi incontro per Morata”. Tutto per una stasi momentanea che, salvo colpi di scena, si risolverà con un accordo che farà tutti (parzialmente) felici. È un cortocircuito per un attaccante che in stagione ha segnato 9 gol e servito 7 assist, confermandosi un elemento prezioso in una rosa di altissimo livello.
Il fatto è che le qualità del giocatore si sono trasformate proprio nel suo punto debole. Morata è talmente bravo che può essere schierato ovunque. Falso nove, centravanti vero, addirittura esterno in un attacco a tre. Tira e passa. Si associa e si estranea. Srotola la ripartenza e conclude la manovra. Eppure lo spagnolo finisce sempre per essere l’uomo giusto nel posto (o nell’attacco) sbagliato. In ogni sua stagione c’è stato qualcosa di anomalo, una conclusione che ha invalidato le premesse. Anche con la Spagna. In 56 partite ha segnato 26 gol. Un bottino da centravanti che non può essere messo in discussione. A Euro 2020 è stato titolare inamovibile, ma è stato praticamente sempre sostituito. Ha segnato tre gol, ha disputato ottime partite, è stato essenziale in fase di costruzione. Eppure il rigore sbagliato contro l’Italia sembra aver ridimensionato quello che è stato il suo rendimento. Non per Luis Enrique. Il cittì lo ha difeso pubblicamente allora e lo ha fatto nuovamente in queste partite di Nations League. “Nel suo club forse quest’anno non si è distinto, ma ha i suoi soliti numeri – ha detto – per noi è importante, ci offre soluzioni, è molto potente fisicamente, con un buon tiro. È un attaccante molto interessante. Sono molto contento di lui”.
Eppure anche nelle belle parole che il suo allenatore ha speso per lui c’è qualcosa che stona. “Nessuno difende come Morata”, ha detto Luis Enrique. È un discorso che ha molto senso per come gioca la Spagna, ma che è inusuale se riferita a uno che gioca in attacco. Il destino di Álvaro sembra essere quello di piacere a tutti ma di non far innamorare mai davvero nessuno. È stato così nella sua prima parentesi alla Juve. È stato così al Real Madrid. È stato così al Chelsea, all’Atletico Madrid e ora di nuovo alla Juventus. Morata è rimbalzato da un club all’altro in un nomadismo reso ancora più paradossale dal blasone dei club per cui ha giocato. È stato accolto da grandi sorrisi e salutato nell’indifferenza. E ora per lui si è aperta l’ennesima fase di attesa della sua carriera. In “La Mano” Georges Simenon scrive che “ci si abitua talmente alle persone che continuiamo a vederle come le abbiamo viste la prima volta”. Anche con Morata è così. Lo spagnolo sembra imprigionato nel ruolo di eterna promessa che lo ha accompagnato nella sua prima avventura in bianconero. Solo che poi è diventato il Phil Connors (interpretato da un grande Bill Murray) di Ricomincio da capo, l’uomo costretto a rivivere sempre lo stesso giorno. Un destino che non lo ha abbandonato neanche in questo inizio di stagione. “Vorrei giocare dove sono più interessati a me – ha detto recentemente – A tutti piace stare dove si è più desiderati e più apprezzati”. È il sogno di diventare un assoluto che deve fare ancora i conti con una realtà paradossale che lo considera un relativo. Il più sacrificabile dei grandi attaccanti.