“Lascio il Movimento 5 stelle“. È davanti ai giornalisti convocati all’Hotel Bernini di Roma che Luigi Di Maio, dopo una giornata di indiscrezioni e retroscena, ha ufficializzato la rinnegazione dal partito che l’ha scelto, creato e candidato. “Quella di oggi è una scelta sofferta”, dice, “che mai avrei immaginato di dover fare. Oggi io e tanti lasciamo il M5s che da domani non sarà più la prima forza politica del Paese“. L’ex capo politico dei 5 stelle se ne va sbattendo la porta e molla così quella forza che, solo cinque anni fa, guidava da candidato premier. E proprio lui, l’ex leader che chiese l’impeachment di Sergio Mattarella, l’ex capo politico che fece sfiorare la crisi diplomatica all’Italia per un incontro con i gilet gialli in Francia, l’ex ministro che giocava ad alzare i toni con Matteo Salvini, ora si propone come il leader moderato di una forza dove “non ci sarà spazio per l’odio, populismo, sovrani ed estremismi“. Dimenticati quindi i tempi in cui era lui a difendersi dalle accuse di “estremismo”, si posiziona nel centro ormai affollatissimo di leader in cerca di consensi e lo fa con quello che si preannuncia essere l’ennesimo partitino. E soprattutto promette che d’ora in avanti vorrà solo “talenti” perché “uno non vale l’altro”. Proprio così. Il Di Maio diventato politico sui palchi di mezza Italia, a fianco di Beppe Grillo, gridando lo slogan “uno vale uno” e invocando il ricambio delle classi dirigenti avvinghiate alle loro poltrone, diviene lo strenuo oppositore di quello che lui ha predicato per primo.
La conferenza stampa della scissione di Di Maio inizia con il casus belli: lo strappo con Giuseppe Conte sulla politica estera. Accusa il presidente 5 stelle e la dirigenza del Movimento di essere “ambigui“. Un’ambiguità che, a detta del ministro degli Esteri italiani, dura da mesi (almeno da aprile) e che però solo ora per lui è diventata insostenibile. “In questi mesi la prima forza politica in Parlamento aveva il dovere di sostenere il governo senza ambiguità”, ha detto Di Maio. “Abbiamo scelto di fare un’operazione verità, partendo proprio dall’ambiguità in politica estera del M5s. In questo momento storico sostenere i valori europeisti e atlantisti non può essere una colpa”. Ma non solo. Per Di Maio a essere sbagliata è stata tutta la strategia del leader Conte delle ultime settimane: “Pensare di picconare la stabilità del governo solo per ragioni legate alla crisi di consenso è da irresponsabili”. Per Di Maio il voto del Senato di oggi che ha dato il via libera, dopo lunghe mediazioni, alla risoluzione di maggioranza “rafforza il governo e il presidente Draghi”. Ma questo solo perché “dopo settimane di ambiguità, turbolenze e attacchi oggi siamo arrivati a un voto netto”. Il voto netto è stato anche da parte del M5s, che ha votato a favore del testo. Ma per Di Maio c’era invece chi lavorava per altro e lui (e gli altri 60) ha sentito il bisogno di dissociarsi: “Dovevamo necessariamente scegliere da che parte stare della storia, con l’Ucraina aggredita o la Russia aggressore. Le posizioni di alcuni dirigenti del M5s hanno rischiato di indebolire il nostro Paese”. E ha evocato le parole dell’ambasciatore russo Razov che in un’intervista (totalmente sganciata dalla cronaca degli ultimi giorni) ha detto che in Italia non tutti sono d’accordo con l’invio delle armi all’Ucraina: “Quando si ricevono gli endorsement degli aggressori dell’Ucraina non si risponde con il silenzio, ma con l’indignazione“, ha detto Di Maio.
Il nome del futuro progetto politico è già stato fatto circolare nel pomeriggio, segno che il piano era già in elaborazione da tempo. Ma in conferenza stampa Di Maio ha chiarito che non sarà un partito costruito su di sé (anche perché poi verrà il problema di trovare i consensi): “Nessuno ha intenzione di creare una forza politica personale, ci mettiamo in cammino”, ha detto. “Partendo dagli amministratori locali. Dovrà essere un’onda con al centro le esigenze territoriali”. Parole che evocano il progetto del partito dei sindaci su cui tanti altri hanno provato a puntare prima di lui (senza alcuna fortuna) e tradiscono lo zampino di un sindaco in particolare che spinge per un progetto centrista (Beppe Sala). Ma oggi Di Maio non ha intenzione di dire niente di più, solo mostrare a chi lo corteggia che è cambiato e non sarà niente di tutto quello che siamo stati abituati a vedere in passato: “Non ci sarà spazio per l’odio, populismo, sovrani ed estremismi. Da oggi inizia un nuovo percorso per fare progredire l’Italia da Nord a Sud abbiamo bisogno di aggregare i migliori talenti e le migliori capacità, perché uno non vale l’altro“. Questa è forse la frase che più ha fatto trasalire la sala. Perché dentro non c’è solo lui che rinnega quello che ha proclamato per anni, ma c’è anche lui che protesta per quella regola dello stop al secondo mandato che è stata fondativa per il Movimento. Ma ora è il tempo della responsabilità, dice. E già che c’è prende le distanze da un’altra tegola del passato: gli ammiccamenti di alcuni al popolo no vax. “La pandemia e la guerra hanno chiamato alla responsabilità tutte le forze politiche. Anche quelle forze politiche che dicevano di essere a favore della scienza ma strizzavano l’occhio ai no vax, che dicevano di essere dalla parte della sicurezza ma si opponevano al green pass, che ospitavano la democrazia e poi erano fan di Putin. È finita l’epoca dell’ipocrisia. Chi sta provando a proporre soluzioni semplici a problemi complessi si sta distaccando dalla vita reale“.
Nel suo breve discorso, al termine del quale non ha accettato domande, Di Maio ha citato tutti quelli che sono i suoi nuovi punti di riferimento. Intanto l’Europa: “Davanti a questa guerra devastante, l’Europa deve essere più solidale, ce lo ricordava il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, un esempio di grande di correttezza, di senso delle istituzioni e di pacatezza che deve essere da guida per tutti noi”. Poi ha ribadito la sua assoluta fedeltà a Mario Draghi: “Quando ho iniziato questa esperienza di governo non conoscevo personalmente il presidente del Consiglio”, ha detto dimenticando che l’ex presidente della Bce l’aveva incontrato ben prima della nascita dell’esecutivo e già in tempi non sospetti (luglio 2020) provocando non poche polemiche. Anche questo forse l’ha dimenticato. Oggi però l’importante era ribadire la sua nuova appartenenza: “In un anno e mezzo abbiamo lavorato bene insieme e per questo sono stato definito draghiano. Faccio parte del governo Draghi e credo che la sua azione sia motivo d’orgoglio per l’Italia in tutto il mondo e continueremo a sostenerlo con lealtà, idee e il massimo impegno che possiamo metterci”.
La chiusa è per gli oltre cinquanta colleghi che l’hanno seguito. “Non ci possiamo permettere passi falsi, dobbiamo costruire il futuro di tutti i cittadini”, ha detto Di Maio. “Ai colleghi e amici dico mettiamoci in cammino, insieme per il futuro, che sarà di tutti coloro che vorranno condividere questo progetto e saranno i benvenuti”. Molti dei parlamentari che hanno seguito Di Maio erano presenti in sala, più numerosi delle sedie a loro destinate con su scritto riservato. Fra di loro ci sono la viceministro dell’Economia Laura Castelli, Simone Battelli, Davide Serritella, Carla Ruocco, Simone Valente, Francesco D’Uva, Vincenzo Presutto e Primo Di Nicola. E pensando proprio ai colleghi che lascia nel Movimento, Di Maio ha detto: “Mi sono interrogato a lungo sul percorso che il M5s ha deciso di intraprendere: un percorso di chiusura, che guarda al passato, che ripete gli errori del passato. Non siamo riusciti a cambiare, a invertire quella rotta che avrebbe dovuto consentirci di raggiungere la maturità. Siamo ancorati a vecchi modelli. Era necessario e aprirsi al confronto, ascoltare delle critiche, ma non è stato possibile”. Per Di Maio quindi, l’unica maturità possibile era fuori dal M5s.