Politica

In Draghi vedo un forte autoritarismo: non restano che due soluzioni

L’autoritarismo è un termine tecnicamente riferibile a tre fenomeni, distinti ma strettamente intrecciati: le personalità, le ideologie e i sistemi politici. Theodor Adorno individua, nel famoso studio del 1947, le personalità autoritarie come figure tendenzialmente obbedienti verso le persone di status superiore e manifestanti spregio verso chi appartiene a gruppi di status inferiore; rigide nel pensiero e convenzionali verso i valori dominanti. La scala F utilizzata per misurare il livello di autoritarismo è stata per anni denominata anche scala del fascismo.

Adorno e i suoi colleghi ritenevano che alcuni tratti della personalità molto marcati predisponessero le persone a essere maggiormente vulnerabili e attratte dalle idee antidemocratiche. Le ideologie autoritarie sono caratterizzate, invece, dalla strutturazione gerarchica della società e danno per scontata l’idea che esista una stratificazione sociale e economica naturale in cui i ricchi (e potenti) devono essere sempre più ricchi (e potenti) e la distanza tra loro e resto della popolazione debba restare immutata (o ampliarsi). I sistemi politici autoritari, infine, sono caratterizzati da un progressivo accentramento del potere politico in poche mani e dalla svalutazione anche morale delle sedi della partecipazione politica, in primis il Parlamento. Ogni autoritarismo, da quello più eclatante a quello più mascherato, costituisce sempre una forma di abuso pericolosissima per la democrazia e per la crescita economica e sociale di una nazione. Con il controllo della pubblica opinione attraverso la propaganda televisiva ai tempi di Berlusconi, la sottrazione di potere nazionale a favore della finanza da parte di Monti e il continuo ed esasperato ricorso allo stato di emergenza per la gestione della pandemia, l’autoritarismo è diventato ormai da tempo un tratto distintivo del governo del Paese.

L’ascesa di Mario Draghi per me suggella definitivamente il passaggio da una repubblica parlamentare a una autoritaria: abituato a comandare e rispondere allo stesso tempo ai grandi poteri economici e finanziari, e forte della convinzione di essere il migliore, Draghi non ama il dibattito parlamentare e, nonostante continui ad affermare il contrario, non conosce il valore profondo della democrazia liberale. Decidere l’entrata in guerra attraverso l’invio di armi all’Ucraina non è secondo lui affare della democrazia. Con l’approvazione del decreto Ucraina di fine febbraio, per lui ogni problema è risolto come se la situazione non si fosse evoluta nel frattempo e il mondo non fosse cambiato. Non è chiaro se a questa conclusione l’ex banchiere arrivi in forza delle sue inossidabili convinzioni morali, del senso di superiorità derivante dall’appartenenza al un ceto superiore, oppure per obbedienza ai poteri forti che lo hanno nominato premier. Sta di fatto che le decisioni di sostenere la guerra in Ucraina stanno portando a conseguenze devastanti per il Paese: inflazione alle stelle, crollo del ceto medio, nuove dipendenze da fonti energetiche nei confronti di Paesi instabili, speculazione selvaggia (ovviamente lasciata libera di massimizzare i profitti in nome della teoria liberista). Nemmeno la terribile escalation e il rischio molto vicino di una guerra nucleare sembrano scuotere le sicurezze dell’uomo solo al comando.

Quando l’autoritarismo raggiunge queste dimensioni così abnormi e rifiuta di discutere pubblicamente sulla fondatezza e le conseguenze delle decisioni assunte, non restano che due soluzioni: o accettarne il dominio, con tutto quanto questo implica e allora è chiaro che per l’Italia il futuro prossimo non può che essere molto doloroso; oppure dire che è arrivato il momento di dire basta. Chi può farlo oggi, per uno strano scherzo della storia, sono i due partiti populisti accusati di portare l’Italia fuori dall’Europa, lontano dalla crescita economica e fuori dalla storia. Eppure se la direzione della storia è quella indicata dal premier c’è da chiedersi veramente se sia la sua la strada giusta. Se sia giusto che il destino di una nazione sia deciso da una persona e da interessi opachi mascherati da difesa dei valori civili di libertà e giustizia per i popoli minacciati. Se si debba accettare che a pagare la voracità di interessi politici e economici altrui, perché qui stanno le ragioni della guerra ucraina, siano i ceti sociali più deboli del paese. Se si possa tollerare che il fondamento della democrazia che è il dibattito pubblico possa essere azzerato in nome di un interesse nazionale che ogni giorno di più – è chiaro – sta venendo sacrificato sull’altare di ben altri interesse e volontà di potenza.

Non sappiamo se Salvini e Conte avranno il coraggio di staccare la spina, perché è chiaro che i poteri forti che controllano la propaganda e l’opinione pubblica poi presenteranno un conto. Si dirà che senza Draghi esploderà la crisi economica e si perderanno i soldi del Pnrr e che l’Italia verrà esclusa dall’Europa. Ma la crisi è già esplosa con violenza e le risorse del Pnrr sono già state bruciate da inflazione, inefficienza e malaffare. Per quanto riguarda l’Europa, un organismo da anni controllato dalle lobby, è qualcosa di terribilmente diverso dall’orizzonte indicato da Spinelli e dai padri fondatori, e sui cui assetti varrebbe la pena fermarsi a discutere in modo aperto e democratico. Quello che rischia di rimanere dopo la cura Draghi purtroppo è solo il vecchio adagio formulato da Mark Twain: un banchiere è uno che vi presta l’ombrello quando c’è il sole, e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere. E stavolta potrebbe anche trattarsi di pioggia radioattiva.