Li hanno interrogati, forse anche torturati, e poi giustiziati a sangue freddo. Si tratta di uno dei tanti crimini di guerra commessi dai russi, ma questa volta a farne le spese non è stata la popolazione civile di Irpin o di Bucha, ma un militare ucraino e anche un giornalista. È quanto si legge sull’ultimo report pubblicato da Reporter senza frontiere Come il giornalista ucraino Maks Levin è stato giustiziato dalle forze russe pubblicato dopo l’invio di due investigatori dell’organizzazione indipendente che monitora le violazioni del diritto alla libertà di stampa nel mondo.
La loro morte era stata documentata poche settimane dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, ma a fare chiarezza sulle dinamiche che l’hanno causata sono stati il ritrovamento e le analisi svolte sui cadaveri delle due vittime che, sostiene l’organizzazione, “hanno concluso che Levin e Chernyshov sono stati giustiziati a sangue freddo. Le prove contro le forze russe sono schiaccianti”.
Gli investigatori sono stati inviati nel Paese in guerra per raccogliere prove dal 24 maggio al 3 giugno. “L’analisi delle foto della scena del crimine, le osservazioni fatte sul posto e le prove materiali recuperate indicano chiaramente un’esecuzione che potrebbe essere stata preceduta da interrogatori o addirittura atti di tortura – si legge nel resoconto di Rsf – Nel contesto di una guerra fortemente segnata dalla propaganda e dalla censura del Cremlino, Maks Levin e il suo amico hanno pagato con la vita la loro battaglia per ottenere informazioni affidabili. Gli dobbiamo la verità. E lotteremo per identificare e trovare coloro che li hanno giustiziati”, ha affermato Christophe Deloire, segretario generale della ong.
Levin era nato il 7 luglio 1981 nella regione di Kiev, aveva collaborato con un gran numero di testate internazionali fra cui Reuters, Ap e Bbc. Fotogiornalista e documentarista, la gran parte dei suoi progetti sono stati dedicati alla guerra in Ucraina. Ma molte sue attività erano anche a scopo umanitario, legate a organizzazioni internazionali come Oms, Unicef e Osce. Era sposato e aveva quattro figli piccoli.