Il partito maggiormente rappresentato in Parlamento, ma ormai minoritario nelle ultime elezioni, si è scisso: Di Maio se ne è andato con una sessantina di parlamentari per formare il gruppo, forse prossimo partito, “Insieme per il futuro”. Se il nuovo partito si presenterà alle elezioni prenderà verosimilmente pochissimi voti, perché questo in Italia è il destino degli scissionisti.

Per spiegare queste dinamiche è utile rifarsi alla storia dei partiti italiani: i partiti più vecchi, magari passati attraverso numerosi cambiamenti di denominazione e alleanze, erano nati nell’era delle ideologie. Di questi restano oggi solo il Pd, erede, attraverso mille vicende del PCI e della DC, e FdI, erede dell’ambiguo MSI. Questi partiti, al di là della loro politica attuale, vivono della loro, non sempre encomiabile, tradizione (se non della loro inerzia).

I partiti successivi, post-ideologici sono stati tutti populisti: hanno cioè costruito la loro essenza sulla semplificazione dei problemi e delle soluzioni, promettendo al gruppo sociale di riferimento ciò che quel gruppo voleva sentirsi dire. La Lega è nata all’insegna dello scissionismo e del privilegio del nord, poi sostituito con il federalismo e col “prima gli italiani”. Forza Italia di Berlusconi ha proposto il miraggio dell’arricchimento facile, garantito dal successo economico del fondatore, che sarebbe stato esteso a tutti gli italiani.

Il M5S è stato l’ultima (per ora) evoluzione del populismo nostrano, e della semplificazione dei problemi e delle soluzioni. Ha vissuto di slogan adatti a bambini delle elementari: onestà, contrasto della povertà, etc. e di soluzioni altrettanto elementari: per avere l’onestà bisogna eleggere gli onesti (autocertificati); per sconfiggere la povertà basta regalare soldi pubblici, etc. L’elettorato è fatto in maggioranza di persone sensibili al semplicismo: chi non vorrebbe sconfiggere la disonestà o la povertà? Ma la disonestà e la povertà hanno cause sociali e sconfiggerle significa capire queste cause e contrastarle, una cosa ovviamente al di là delle capacità di Beppe Grillo e dei suoi seguaci.

Queste semplificazioni grossolane possono ottenere il successo proprio perché sono semplici, purché però gli sia data una visibilità adeguata: Berlusconi aveva le televisioni, Beppe Grillo era supportato da Gianroberto Casaleggio, un mago del web. Alzi la mano chi ancora compra l’orario ferroviario o il ricettario di cucina: oggi anche l’orario dei treni o le ricette si trovano su Internet. Poiché su Internet c’è molto di più di quanto sia possibile leggere in una vita, per trovare ciò che ci serve usiamo i motori di ricerca che mettono in ordine l’informazione richiesta secondo algoritmi di priorità.

La specialità di Casaleggio era quella di gonfiare i suoi siti web mediante citazioni incrociate, in modo da farli finire tra le prime pagine trovate da Google. In questo modo, qualunque cosa uno di noi cercasse, aveva una grande probabilità di incontrare il blog di Beppe Grillo tra le prime voci di Google.

Il M5S, sapientemente gonfiato da Casaleggio e costruito intorno alla popolarità di Beppe Grillo, ha portato alla visibilità politica dei candidati modesti, che da soli non avrebbero preso un voto. Diventati parlamentari, questi candidati si sono illusi di avere meriti e visibilità propria e hanno tirato il collo alla gallina dalle uova d’oro, complice anche il fatto che nel frattempo la Casaleggio Associati era passata al figlio del fondatore. Inoltre la propaganda politica semplicistica fatta mentre il M5S era una forza di opposizione e anti-sistema si è sgretolata di fronte alla complessità del reale.

Né Conte, né Di Maio, e neppure Beppe Grillo senza l’aiuto di un Gianroberto Casaleggio dietro le quinte, sono in grado di mettere in atto quell’insieme di capacità necessarie per raggiungere il successo elettorale, e la loro carriera politica si sta rapidamente avviando alla sua conclusione. La scissione non salverà Di Maio, né aiuterà Conte perché ormai il giocattolo si è rotto.

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