Oggi il broker di monete virtuali Voyager Digital ha dichiarato che potrebbe emettere un avviso di default nei confronti dell'hedge fund specializzato in criptovalute Three Arrows Capital. Secondo la banca dei regolamenti internazionali quello a cui stiamo assistendo evidenzia problemi di natura strutturale. Minoranze e giovani le categorie più esposte ai crolli
Riprende il progressivo indebolimento del bitcoin e delle altre valute digitali. Di nuovo in sincrono con i mercati azionari. Aspetto forse persino più problematico degli stessi cali. In questi anni il bitcoin ha cercato di affermarsi come investimento alternativo rispetto ai listini, una forma di presunta diversificazione. Alla prova dei fatti questa assunzione si sta dimostrando inconsistente. La principale criptovaluta è scesa di nuovo sotto i 20mila dollari (- 4%), soglia intorno a cui galleggia da qualche tempo. Venerdì scorso si era scesi fino a 17.600 dollari. È meno di un terzo rispetto ai quasi 70mila dollari raggiunti lo scorso novembre. Simili i cali di Ether, Litecoin e Dogecoin. Negli ultimi 7 mesi il mercato delle valute digitali si è ridotto di 2mila miliardi di dollari.
Lo scorso 15 giugno la piattaforma statunitense Celsius Network è stata costretta a congelare i conti di 1,7 milioni di piccoli risparmiatori a cui venivano promessi ritorni a doppia cifra investendo in monete digitali. Secondo gli analisti “una classica corsa agli sportelli bancari” traslata nel mondo delle criptovalute. Ieri il broker di monete virtuali Voyager Digital ha dichiarato che potrebbe emettere un avviso di default nei confronti dell’hedge fund specializzato in criptovalute Three Arrows Capital Ltd se non sarà in grado di rimborsare il suo prestito. L’esposizione di Voyager a Three Arrows Capital è di 15.250 bitcoin (quasi 310 milioni di dollari). Come ha notato qualche giorno fa il Financial Times giovani e persone a basso reddito sono le più esposte a questi crolli, costituendo il tipo di risparmiatori che più hanno investito in monete digitali in rapporto alle risorse di cui dispongono.
Le monete digitali sono nate e cresciute dopo il 2008, vale a dire in uno scenario monetario del tutto anomalo, con tassi negativi e abbondanza di liquidità. Condizioni che obbligano gli investitori in cerca di un qualche rendimento ad investire anche negli asset più rischiosi. Una volta che le condizioni monetarie hanno imboccato la strada verso un lento ritorno alla normalità, il meccanismo si è inceppato. Non aiuta il cannoneggiamento da parte di banche centrali e istituzioni internazionali che non perdono occasione per ricordare la pericolosità di questi prodotti finanziari e, in alcuni casi, la loro assoluta inconsistenza.
Negli anni il bitcoin si è distinto per una forte volatilità, ossia rapide e intense oscillazioni di valore. Una caratteristica che rende difficile usare queste valute virtuali come strumento alternativo al denaro. Chi vorrebbe farsi pagare con qualcosa che dopo pochi giorni potrebbe valere la metà? Certo, è vero anche il contrario, ma chi fa compravendite ordinarie di solito non cerca ebbrezze speculative. Per ovviare a questo problema sono state introdotte sul mercato le cosiddette stablecoin, monete digitali che, tramite prodotti finanziari posti a loro garanzia, si propongono di contenere le variazioni e assicurare la parità con monete come il dollari. Ma anche questo esperimento è fallito nelle scorse settimane quando diverse di queste valute digitali hanno perso la parità di cambio promessa e dai gestori non sono arrivati grandi spiegazioni sui motivi e sulla composizione del capitale che avrebbe dovuto assicurarne il corretto funzionamento.
I più scettici vedono nelle criptovalute un gigantesco “schema Ponzi”. Ossia una costruzione finanziaria in cui i rendimenti sono pagati dalle nuove sottoscrizioni e non dall’effettivo incremento di valore. Così quando il flusso di investimenti si riduce tutto il castello crolla. I più ottimisti vedono invece questa fase come un sano passaggio di ripulitura che lascerà in vita solo i prodotti più affidabile e da un valore . Quello che è certo è che bitcoin e soci stanno dimostrando di essere soggette esattamente alle stesse leggi, diversamente da quello che qualcuno sperava. Attraversano insomma una sorta di crisi esistenziale da cui è difficile dire come emergeranno.
“Le recenti implosioni nei mercati delle criptovalute indicano che i pericoli a lungo evidenziati del denaro digitale decentralizzato si stanno materializzando”, ha scritto la Banca dei regolamenti internazionale (una sorta di banca centrale delle banche centrali, ndr) anticipando alcuni contenuti del prossimo rapporto annuale. Il direttore generale Agustin Carstens ha indicato in particolare i recenti crolli di “Terra” e delle “stablecoin” Luna e la discesa del 70% del bitcoin, tra i principali campanelli d’allarme per il mercato delle criptovalute. Fattori da intendere come indicatori di un problema strutturale del comparto. “Senza un’autorità sostenuta dal governo, in grado di utilizzare le riserve garantite dalle tasse, qualsiasi forma di denaro alla fine manca di credibilità“, ha detto Casrstens. La Bri invita comunque le banche centrali ad accelerare sulla creazione di loro monete digitali. “Il trading di criptovalute assomiglia sempre più al mercato azionario statunitense della fine degli anni ’20”, ha affermato ieri l’autorità di vigilanza sui mercati svizzeri. “Sembrerebbe che gran parte del trading di prodotti digitali assomigli alla borsa statunitense nel 1928, l’anno prima del tracollo, dove erano diffusi tutti i tipi di abuso“, ha detto il responsabile Urban Angehrn.