Un “passo di lato”, in vista del prossimo vertice nazionale del centrodestra, in “nome dell’unità della coalizione”. Così Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia, dopo averlo annunciato, quasi a denti stretti, due giorni fa, a margine di un evento a Catania, conferma il passo indietro, rimettendo il suo nome sul tavolo del centrodestra e negando le dimissioni. Resta presidente e resta a disposizione per una candidatura, semplicemente non insisterà sulla sua riconferma, questo ha detto a Palazzo d’Orleans, dove ha convocato la stampa due giorni dopo avere annunciato che avrebbe presto tolto il “disturbo”. E dove, in sostanza, va in scena più che un annuncio, un’autodifesa mista ad un j’accuse. Musumeci, infatti, mentre chiarisce la sua posizione in merito alle prossime Regionali (si vota in autunno) non risparmia considerazioni al veleno: “Sono un presidente scomodo in una terra che finge di voler cambiare”, dice Musumeci. E insiste: “Sono un presidente discusso dagli alleati e divisivo pur risultando vincente in tutti i sondaggi. È un paradosso, ma questa è la terra dei paradossi, la terra delle contraddizioni, non dimenticate Sciascia, non dimenticate Pirandello”. In polemica, quindi, con gli alleati, si mette di “lato”, in nome “dell’unità del centrodestra” che è “un valore e come tutti i valori va salvaguardato, va tutelato andando ben oltre le pur legittime aspirazioni di tutti noi”. Così, in previsione della riunione dei vertici della coalizione dopo i ballottaggi di domenica, Musumeci si dice disponibile ad ogni scenario: “Se tutto questo può servire all’individuazione a un candidato unitario, uno che unisce al posto di uno che divide, quando lo avranno trovato, me lo presenteranno e tutti saremo felici di poterlo sostenere”.
“Ignobili attacchi dal fuoco amico” – Ma nel farlo non risparmia frecciate: “Non è una resa, non sto mollando, la mia è una scelta di responsabilità, so che la responsabilità è un attrezzo fuori uso, ma io continuo a tenerlo tra gli attrezzi più importanti”. Ed ecco le accuse: “Nell’ultimo anno ho dovuto subire indicibili e ignobili attacchi dal fuoco amico, preoccupato di più di attaccare il presidente che le opposizioni”, sottolinea Musumeci, facendo esplicito riferimento al coordinatore di Forza Italia, Gianfranco Micciché che negli ultimi mesi non ha risparmiato dichiarazioni alla stampa dicendo che il governatore in carica era una candidatura debole (“Contro Musumeci vincerebbe anche un gatto”). Ma il presidente in carica non si dimette: “Non so cosa sia la parola resa, non è una resa la mia perché io non mi dimetto. Ho un impegno con il popolo siciliano che ho assunto quando mi ha eletto, cinque anni fa e fino all’ultimo giorno servirò la mia regione e il popolo siciliano nei suoi legittimi interessi. Rimanendo con la schiena dritta, la stessa integrità morale e entusiasmo del primo giorno. Non è una resa, no amici, non sto mollando”. Non molla ma fa un passo di lato perché nonostante i sondaggi, è considerato “divisivo”: “Tutti i sondaggi mi danno vincente, eppure per alcuni miei alleati io rimango un candidato divisivo, voi direte che i sondaggi si prendono con le pinze. Ma se il sondaggio contrasta la tesi ricorrente da parte di qualche vicino di casa, chi perde credibilità non è il sondaggio ma il vicino di casa”.
Le polemiche e i fischi – A Palazzo d’Orleans, Musumeci, ritorna perfino sul siparietto di Taormina assieme a Ficarra e Picone quando in occasione della kermesse di Taobuk, Musumeci si è ritrovato a condividere la scena con i due comici siciliani che sono intervenuti interrompendo la propaganda del presidente sul cambiamento portato in Sicilia dal suo governo. A questo punto, Salvo Ficarra e Valentino Picone lo hanno interrotto, sottolineando, tra le altre cose, come le strade fossero ancora vetuste (“abbiamo pagato l’autostrada in sesterzi” ha detto Valentino Picone). Il tutto tra i fischi del pubblico taorminese. Una scena ripresa dai cellulari e rimbalzata su tutte le homepage dei giornali online siciliani. Un episodio che secondo molti osservatori è pesato sui nervi del governatore. Di certo, due giorni dopo a Catania ha annunciato che avrebbe tolto il disturbo, mentre a distanza di cinque giorni, osa una rilettura di quel che è successo a Taormina, perfino attaccando il M5s: “Qualcuno ha scritto che la mia sarebbe una scelta legata alla claque di Taormina, amici, no, no, no, i comici fanno i comici e lo fanno per professione, sono pagati per farlo, peraltro hanno fatto il nostro gioco perché esaltavano la condizione delle strade in Sicilia, le strade sono però responsabilità dello Stato o delle Province. E noi abbiamo portato avanti tante battaglie contro il governo centrale per richiamare loro alle loro responsabilità, il M5s ha un sottosegretario alle infrastrutture (Giancarlo Cancelleri, ndr): la competenza delle strade è di tutte le forze politiche tranne Fratelli d’Italia”. Nel pubblico di Taormina, poi, c’era un gruppo preparato per contestarlo: “Quanto alla claque organizzata con 12 persone, la claque credetemi è sempre una manifestazione di debolezza, mai una dimostrazione di forza”. Nonostante i nemici, dunque, Musumeci si sfila in nome dell’unità del centrodestra, non rivendicando per sé alcun posto in parlamento: “Non svendo la mia terra e il mio popolo per un posto al parlamento nazionale, no, sono di un’altra pasta”. Semplicemente resta in attesa: “Spero mi si dica presto, se non dovessi essere io il candidato, la verità, ma forse se qualcuno dicesse la verità il centrodestra pregiudicherebbe la prossima vittoria”, conclude il governatore, che va via poco dopo, lasciando dietro di sé una scia di ombre sul centrodestra siciliano.