“La sinistra vuole portare l’ideologia gender nelle scuole dei nostri bambini”. È stato lesto il sindaco uscente di Verona, Federico Sboarina, ad appropriarsi delle parole del vescovo, mettendo questa frase nel volantino infilato nelle porte di tutti i veronesi nel penultimo giorno di campagna elettorale. O forse è stato monsignor Giuseppe Zenti a indicare la strada corretta da seguire nelle urne, quando una settimana fa ha scritto ai preti, invitandoli a predicare per individuare nei programmi dei candidati “quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterate dall’ideologia del gender…”. Fatto sta che il linguaggio è lo stesso, anche se il vescovo ha negato l’intento di favorire Sboarina a danno di Damiano Tommasi, l’ex calciatore ed esponente del centrosinistra, che al primo turno ha preso il 40 per cento dei voti, lasciando l’avvocato a sette punti percentuali di distanza.

Ormai si è arrivati alla vigilia del voto e i toni si sono alzati, almeno dalla parte di Sboarina, che su Facebook ha lanciato un appello contro l’apocalisse che starebbe per abbattersi su Verona. “La città non può permettersi di riportare indietro le lancette dell’orologio, ci ricordiamo tutti gli anni in cui la sinistra ha governato: campi rom abusivi nei quartieri, furti e violenze a raffica, venditori abusivi molesti e pericolosi in centro, perfino in piazza Bra e in via Mazzini. Le prime sette città italiane col tasso di criminalità più alto sono amministrate dalla sinistra. A Roma il sindaco del Pd ha deciso di regalare fino a 10 mila euro ai rom per trovare a casa”. Per non parlare dei Cinquestelle, “che stanno recando caos e danni all’Italia”. Slogan conclusivo: “Verona, mai a sinistra”.

Basterà questa chiamata alle armi per portare gli elettori ai seggi e favorire il recupero del centrodestra? Tommasi ha continuato a percorrere i quartieri, parlando di una città “moderna e vivibile, solidale e ottimista”, non sull’orlo della guerra. Ha ricevuto la visita di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che ha detto: “Verona deve cambiare passo, e Damiano è la persona giusta. Un civico come me, slegato dalla vecchia politica, ha le idee belle chiare”. Che i big non arrivino per l’ultimo giorno è nella norma. Tommasi ha disertato quando sono venuti Enrico Letta e Giuseppe Conte, per non farsi appuntare bandierine di partito sul petto. Preferisce centinaia di magliette gialle che lo accompagnano e che animeranno la festa finale al parco Ottocento, con Dario Vergassola.

La lettera di monsignor Zenti non poteva passare inosservata. Tommasi si limita a dire: “Il vescovo fa il vescovo…”. Chi non ci sta è invece un prete scomodo come don Marco Campedelli che ha ingaggiato con il vescovo un ruvido faccia a faccia in Seminario, accusandolo di “autoritarismo”. Intanto ha spedito all’agenzia Adista una lunga lettera. “L’iniziativa del vescovo Zenti (lettera del 18 giugno) può essere considerata un’incidente di percorso? Guardando indietro non si può invece leggerla come iscritta nel suo modo di porsi rispetto alla città? E al suo modo di interpretare il ruolo di vescovo? Nel 2015 cambiavano i destinatari: gli insegnanti di religione a cui indicava di sostenere la candidata di Salvini per le elezioni, adesso i destinatari sono i preti e i diaconi”. Poi ricorda quando “il vescovo Zenti vietò a un consistente gruppo di giovani di una parrocchia cittadina di fare una esperienza ecumenica, creando un vero disagio in quei ragazze e ragazzi, che si erano studiati il Concilio… Il tema degli abusi dell’Istituto Provolo ha fatto il giro del mondo. Come è stato trattato a Verona? Come lo ha trattato il vescovo Zenti?”. Don Campedelli pone una serie di domande. “Per esercitare il proprio ruolo, bisogna sempre appellarsi al principio di autorità? L’autorità va sempre di pari passo con l’autorevolezza? Oggi nel 2022, c’è bisogno che il prete dica ancora alla gente che cosa votare? Perché il vescovo Zenti su certi temi nella lettera è cosi preciso e dettagliato: parla di ‘gender’, ‘scuola cattolica’, e su altri è cosi generico come ‘accoglienza dello straniero’. Perché allora in questo caso non parlare di ‘ius soli’ o di ‘ius culturae’?”

Sul fronte politico, Flavio Tosi (con Forza Italia) ha ormai chiuso con Sboarina e denuncia il tentativo di far apparire accordi al ballottaggio che non ci sono, con chi non ha voluto apparentamenti. “Queste strumentalizzazioni sono l’ennesimo loro gesto arrogante nei confronti del partito fondatore del centrodestra. Un’arroganza che ha toccato il suo culmine con il rifiuto di Sboarina all’apparentamento e che continua da anni. Pensiamo a quanto detto dal Sindaco uscente in questa campagna elettorale: che Forza Italia al primo turno stava giocando nel campo avverso al centrodestra, o che Forza Italia non è un partito ma solo un logo. Frasi inaccettabili e, a risentirle, fa sorridere vedere ora gli sboariniani provare ad accaparrarsi i voti degli elettori di un partito che per anni hanno pesantemente dileggiato, tanto da costringerlo ad uscire ufficialmente dalla maggioranza di Palazzo Barbieri“.

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