È questa una delle curiosità che emerge della lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, in cui rievoca la vittoria (e il successivo l’incontro surreale in bagno con il regista di Lanterne rosse, Zhang Yimou), la carriera, la militanza a sinistra
“L’Oscar? L’ho tenuto in bagno, adesso ci ho fatto pace e fa da reggi-libri a una serie di libri sul cinema”. Altro che teche di cristallo o casseforti blindate, Gabriele Salvatores la statuetta più ambita del cinema mondiale, che lui ha vinto nel ’91 per il film culto Mediterraneo, la usa come reggi-libri. È questa una delle curiosità che emerge della lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, in cui rievoca la vittoria (e il successivo l’incontro surreale in bagno con il regista di Lanterne rosse, Zhang Yimou), la carriera, la militanza a sinistra (“è sempre rimasta sia nel lavoro sia a livello personale”) e il rapporto con i suoi “attori feticcio”, tra cui Abatantuono e Rossi.
SALVATORES E L’INCONTRO SURREALE (IN BAGNO) CON YIMOU
“Ancora adesso non capisco come sia possibile che abbia vinto io”, confessa Gabriele Salvatores spiegando anche perché il suo discorso di ringraziamenti durò appena 27 secondi. Il regista confessa che quando Sylvester Stallone annunciò il film vincitore e disse “Italy” lui capì “Ilary”. “Ho subito pensato che nella cinquina ci fosse un sesto film di cui non avevo mai sentito parlare”, rileva. Salvatores era convinto che il favorito fosse Lanterne Rosse di Zhang Yimou, che incontrò dopo la cerimonia in bagno. E la situazione si fece a dir poco surreale: “Io sono con l’Oscar in mano perché te lo consegnano senza nemmeno una scatola, lui sta sommessamente piangendo; ne è nato un dialogo dove io quasi mi scusavo e lui non capiva; poi lui ha guardato l’Oscar e mi ha detto qualcosa che per fortuna non ho capito”.
L’OSCAR TENUTO IN BAGNO
Proprio la vittoria dell’Oscar, che pure gli ha cambiato professionalmente la vita, ha innescato una serie di riflessioni anche rispetto alla percezione che gli altri avevano di lui dopo la conquista di un premio così ambito. “L’Oscar non è un microchip che ti infili in testa e diventi più bravo; quando lo vinci sei esattamente come prima, ma sia gli spettatori sia gli addetti ai lavori si aspettano da te qualcosa di speciale. Però io non volevo entrare in competizione con me stesso“, ammette. E forse anche per questo, per smitizzarlo, a lungo ha tenuto la statuetta in bagno, poi in ufficio. “Adesso ci ho fatto pace e fa da reggi-libri a una serie di libri sul cinema”.
QUANDO ABATANTUONO GLI DAVA DEL F**CIO
Nell’intervista ci sono poi alcuni passaggi sui suoi attori feticcio, tra cui Paolo Rossi (“se non avesse quel demone autodistruttivo che lo perseguita sarebbe diventato come Gaber, come Jannacci, ha una stoffa speciale, da attore e poeta”) e Diego Abatantuono, che ha recitato in tutti i suoi film e che considera più che un amico, un parente (per altro Salvatores da anni sta con Rita Rabassini, l’ex moglie dell’attore, ndr). Di lui dice che “ha un talento enorme che non coltiva” e poi racconta: “Una volta, eravamo a Lucca, e portavo a scuola Marta – sua figlia – che andava in prima elementare. Scendevamo dai tornanti, lei era assorta. Dopo un paio di curve mi fa: “Gabriele, che cosa vuol dire frocio?”. No, guarda, allora, ti spiego: frocio è una parolaccia, è un insulto. Tu puoi dire gay, omosessuale… Si tratta di uomini a cui piacciono altri uomini, è amore ed è rispettabile. Altri tre tornanti e Marta: “Gabriele, ma a te la mamma piace?”. E certo che mi piace, mi piace molto, ci sto insieme. “E allora perché papà dice che sei froc*o?””.