Politica

I partiti tradizionali festeggiano la scissione di Di Maio: ha dimostrato che la politica è irriformabile

Se fossi professionalmente tenuto a occuparmi delle cose della psiche, ci andrei cauto e osserverei la Goldwater Rule. Ma siccome non devo sottostare a quel codice deontologico, proverò a dire quel che penso della scissione di Luigi Di Maio e soprattutto delle reazioni che l’hanno seguita. Partendo tuttavia da più lontano, ovvero da quello che i 5 Stelle hanno rappresentato e rappresentano per l’establishment. Il quale si è sempre sentito minacciato dell’esistenza del Movimento, prima che dalle sue proposte, si è sentito giudicato e messo all’indice, e così da quando Di Maio ha dato l’addio al M5S festeggia in modo sguaiato, inneggia al fallimento, sostanzialmente dicendo niente di diverso da un grottesco “volevate dimostrare di essere diversi ma siete stronzi esattamente come noi!!”; e ancora, con un incredibile ghigno sul viso: “volevate riformare la politica e invece vi siete ridotti a più miti consigli: la politica è irriformabile”.

Ecco, con la scissione di Giggino è iniziato questo tipo di festeggiamenti, quelli contro la hybris pentastellata. I partiti tradizionali festeggiano, in sostanza, il fatto che il M5S ha dimostrato di essere ‘poltronaro’, governista, opportunista proprio come loro. Festeggiano quella che a loro pare la compiuta e definitiva assimilazione. Per questo l’orgia di chi brinda ha una dimensione psicanalitica. È come veder cadere lo spocchioso primo della classe (chiaramente soi disant, beninteso) a un’interrogazione e ballare sulla sua disfatta cantando “non c’è un primo della classe, sei mediocre proprio come noi”. Il quadro in realtà si complica, dal punto di vista ‘clinico’ (ma si veda il caveat iniziale), quando si parla di quei leader che hanno cercato di dire le stesse cose degli odiati 5S. Pensate a Matteo Renzi, che da anni ne ha adottato temi e un po’ anche stili, parlando di lotte alla casta, ai privilegi, al poltronificio e alla “seggiola”. Oggi Renzi festeggia il fatto che invece Di Maio sia diventato esattamente come lui.

Il capolavoro sarà l’ammissione di Di Maio ai tavoli da cui veniva ancora escluso perché portatore dello stigma a 5S: ora che se ne è liberato, si è trasformato da burattino in bambino, o meglio da bambino in burattino, da ‘bibitaro’ (come sprezzantemente lo chiamavano quando era ancora un bambino) a statista. La fata turchina gli ha consentito una metamorfosi al contrario, lo ha dovuto insozzare facendogli fare un bagno nella cloaca della politica politicante. Ora, maleodorante come gli altri, potrà sedersi al desco e nessuno sentirà la differenza. E si badi bene, non burattino per eventuali allusioni alla sua manovrabilità o alla presenza di ‘fili’ (del resto, neanche Pinocchio ne aveva), ma perché erano gli stessi 5S a denunciare la disumanità di quella politica a cui orgogliosamente facevano mostra di non appartenere. Non conta quanto quell’immagine di purezza fosse autentica, conta solo quanto essa sia stata negata da chi fino a qualche tempo fa ne faceva un vessillo.

Personalmente, avevo scritto proprio su questo giornale del rischio normalizzazione dei 5S nel 2016: “Quanto invece al Movimento, è cresciuta una classe dirigente più matura, meno ruspante e anche più capace di dialogare con la realtà produttiva del paese. Occorrerà vedere se queste nuove facce dialoganti riusciranno a mantenere il vantaggio del M5s, quel vantaggio dovuto a un certo oltranzismo che li ha fatti apparire ‘duri e puri’ agli occhi di chi non ne poteva più della ‘vecchia politica’. Insomma, occorrerà vedere se governare significherà la ‘normalizzazione’ del Movimento, cosa che dipenderà anche dalla selezione della propria classe politica futura e da come, e se, quella attuale uscirà di scena. Poiché un movimento appena nato può chiaramente vantare la freschezza e novità dei propri dirigenti, solo il tempo ci dirà se i 5s avranno saputo mantenere fede all’impegno di ricambio e all’idea della politica come servizio più che come lavoro (permanente)”.

Ecco, Di Maio ha confermato la normalizzazione. E gli altri festeggiano l’inversione del dictum grillino: se il Movimento non ha aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno, si rischia che la casta apra il Movimento come una scatoletta di tonno. Con la conseguenza che quel voto di protesta che li ha scelti fin qui faccia il passaggio ulteriore, quello dell’astensionismo, riducendo la democrazia a una competizione alla quale partecipa un numero sempre più esiguo di persone. Una dittatura delle minoranze che fa stappare bottiglie di champagne a coloro che si servivano di quegli spin doctor che teorizzavano la spinta al non voto per l’elettorato grillino. Ecco: con la fattiva collaborazione dei grillini, la cosa si sta realizzando.