La crisi costituzionale in Tunisia sta raggiungendo il momento più critico. Il Paese nordafricano, spaccato tra sostenitori e oppositori del capo dello Stato Kais Saied che a luglio 2021 ha sciolto il Parlamento accentrando su di sè il potere – è sempre più minacciato dal caos e dalla crisi economica e alimentare. Mentre la crisi politica si allarga a tutte le parti della società e porta il sistema sull’orlo del collasso. Nel corso di una conferenza stampa indetta il 24 giugno, il ministero dell’Interno ha affermato di aver sventato un “complotto” contro l’integrità fisica di Saied, parlando di “gravi minacce volte a minare la sicurezza pubblica tunisina”, specificando che le indagini sono in corso.

L’arresto dell’ex premier – Intanto, giovedì 23 giugno, la polizia ha arrestato l’ex primo ministro Hamadi Jebali, ex segretario generale del partito islamista Ennahdha, con l’accusa di riciclaggio di denaro. Una vicenda che intensifica le preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani dopo la presa del potere di Saied: Jebali, infatti, è uno dei volti della transizione democratica iniziata all’indomani della Rivoluzione dei gelsomini. Ha guidato il Paese dal 2011 al 2013, durante la fase delicata di stesura della nuova Costituzione, poi approvata nel 2014. Secondo quanto riporta Al Jazeera, citando un post della famiglia di Jebali su Facebook, la polizia della città di Sousse ha sequestrato i telefoni dell’ex premier e di sua moglie, per poi portarlo in un luogo sconosciuto. “Il presidente è personalmente responsabile delle condizioni fisiche e psicologiche” di Jebali, afferma la famiglia, invitando la società civile e le organizzazioni per i diritti umani “a opporsi a queste pratiche repressive”.

Il sindacato contro il piano di riforme – Nel mentre proseguono le proteste di piazza contro le decisioni prese dal governo e da Saied negli ultimi mesi. Giovedì scorso Noureddine Tabboubi, il segretario generale dell’Ugtt (il più grande sindacato tunisino), ha attaccato i vincoli fissati dal Fondo monetario internazionale – e accettati dall’esecutivo – per concedere un prestito da quattro miliardi di dollari in cambio di privatizzazioni e politiche di austerity. “Rifiutiamo le condizioni stabilite dal Fmi, dati i bassi salari dei tunisini, la mancanza di mezzi, l’aumento della povertà e della disoccupazione”, ha detto il sindacalista. Il Fmi ha infatti chiesto al governo di Tunisi “riforme ambiziose” per affrontare il forte indebitamento e gli “squilibri fiscali”, sostituendo i sussidi generalizzati con misure a favore della fascia più povera della popolazione. Lo scorso 16 giugno, uno sciopero generale convocato dall’Ugtt contro il piano di riforme ha paralizzato l’intero Paese, raccogliendo l’adesione di tre milioni di lavoratori e lanciando un forte segnale politico. “Quando ci sarà un governo figlio di elezioni, allora quest’ultimo avrà la legittimità per avviare negoziati sulle riforme”, attacca Tabboubi criticando indirettamente Saied.

La nuova Costituzione – Il coordinatore dell’Alto comitato consultivo nazionale per la nuova Repubblica, Sadok Belaid, ha consegnato lunedì 20 giugno al capo dello Stato la bozza di una nuova Costituzione. Dopo aver espulso dal Paese i membri della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto (la cosiddetta Commissione Venezia) del Consiglio d’Europa, infatti, Saied aveva nominato il comitato per stendere una nuova legge fondamentale dello Stato, escludendo però dall’organo tutte le forze politiche elette in Parlamento. I partiti più importanti avevano quindi costituito un Fronte di liberazione nazionale per contrastare il “colpo di stato” del Presidente e chiedere un dialogo nazionale reale e inclusivo, un governo di transizione e elezioni anticipate monitorate da “un’autorità elettorale legittima”. Alla vigilia della consegna della bozza di Costituzione a Saied, nella capitale una manifestazione organizzata dal Fronte ha chiesto il boicottaggio del referendum costituzionale convocato per il 25 luglio 2022, bollando l’intero processo come “illegale”.

La guerra contro la magistratura – Un altro fronte ancora aperto è quello della magistratura, colpita a inizio giugno da un decreto di Saied che ha epurato 57 giudici accusati dal presidente di corruzione. Tre dei giudici licenziati hanno annunciato uno sciopero della fame, denunciando l’ingerenza del capo dello Stato e chiedendo il ripristino dell’autonomia della magistratura. Domandano, inoltre, l’immediato ritorno in servizio dei giudici destituiti e la revoca delle accuse nei loro confronti, nonché l’apertura di un’indagine contro tutte le persone coinvolte nell’epurazione. L’associazione dei magistrati è in sciopero dal 4 giugno scorso e ha prolungato l’astensione dal lavoro per una terza settimana in segno di protesta, mandando in tilt l’intero sistema giudiziario del Paese.

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