Era il 26 giugno 1987 quando le due realtà calcistiche principali del Comune di Venezia si fusero, dando vita al VeneziaMestre arancioneroverde. Trentacinque anni dopo, di acqua ne è passata sotto i ponti. E anche se non proprio tutti insieme, varie generazioni di veneziani e mestrini continuano a cantare Unione
Ti ricordi l’87… era l’anno della fusione… veneziani e mestrini… tutti insieme a cantare Unione… Iniziava così, sulle note di Montagne verdi, un coro a lungo scandito dalle parti dello stadio Pierluigi Penzo di Venezia. Era il 26 giugno 1987, infatti, quando le due realtà calcistiche principali del Comune di Venezia si fusero, dando vita al VeneziaMestre arancioneroverde. Trentacinque anni dopo, di acqua ne è passata sotto i ponti, come si dice in laguna. E anche se non proprio tutti insieme, su quei gradoni che hanno visto stelle come Ronaldo e Zidane ma anche i mestieranti della serie D, varie generazioni di veneziani e mestrini continuano a cantare Unione. Una storia tormentata, quella del Venezia. Pardon, dell’Unione. Fatta di gioie (poche, ma indimenticabili per chi le ha vissute) e sofferenze (molte di più) sportive. Ma anche di dissidi, lotte intestine e vere e proprie scazzottate legate all’identità contestata. Persino in famiglia. Dalla bandiera Paolo Poggi all’anno di Recoba (espressione che nel capoluogo veneto indica quasi con misticismo la storica salvezza della stagione ’98-’99, soprattutto grazie alle giocate miracolose del Chino, arrivato in prestito a gennaio dall’Inter). Dal gol di tacco di Pippo Maniero contro l’Empoli a quello nella nebbia di un inconsapevole Moacir Bastos Tuta, unico a non conoscere la combine di Venezia-Bari e di conseguenza ad esultare al gol contro i galletti (gli schiaffi nel tunnel che porta agli spogliatoi restano negli annali). Dal miraggio dello stadio nuovo – tuttora in voga, a distanza di decenni, per quanto il fascino del vecchio Penzo resti insuperabile – agli avvicendamenti ravvicinati sulla panchina. Un marchio di fabbrica di Maurizio Zamparini, croce e delizia per il pubblico arancioneroverde, scomparso lo scorso 1° febbraio. Dai fallimenti alle ripartenze, tra cambi di denominazione e gestioni societarie tragicomiche (un esempio su tutti: vedere alla voce mister Golban). Non basterebbe un libro per raccontare i 35 anni di arancioneroverde in laguna, dove la parentesi nella massima serie si è appena conclusa, per far spazio alla prossima stagione in cadetteria. Neanche a dirlo, tra stracci che volano e speranze andate in fumo.
Dalla fusione all’eliminazione della Juve – Nel 1987, con il favore del Comune, il presidente del Venezia Zamparini realizzò la fusione per incorporazione con il Mestre, unendo le due squadre, allora entrambe in C2. Nacque il Calcio VeneziaMestre. Non una scelta a furor di popolo, vista la tradizionale rivalità che separava i due campanili collegati dal Ponte della Libertà. A Venezia, infatti, era forte il legame con il nero delle gondole e il verde dei canali (esclusi i primissimi anni in rossoblù): 80 anni di storia, impreziositi dalla Coppa Italia del ’40-’41 e dal terzo posto dell’anno successivo, con lo scudetto sfumato per un pelo a vantaggio della Roma. Erano gli anni di Ezio Loik e Valentino Mazzola, glorie neroverdi. A Mestre, invece, nel 1929 nacque l’U.S. Mestrina, poi divenuta A.C. Mestre. Una storia minore, quella degli arancio(neri), che si fermò alla serie B. Ma ugualmente fonte d’orgoglio. Nonostante la ritrosia delle piazze, abituate a scontrarsi nei derby, la nuova entità arancioneroverde guidata da Ferruccio Mazzola, figlio di Valentino e fratello di Sandro, esordì allo stadio Francesco Baracca di Mestre il 27 settembre 1987, sconfiggendo 4-1 il Telgate. Sugli spalti si vedevano sciarpe neroverdi e arancionere, ma a poco a poco gli ex rivali iniziarono a trovarsi d’accordo. E i risultati sul campo favorirono l’avvicinamento reciproco: simbolico il primo esodo a Treviso, espugnata grazie a tre reti di Stefano Marchetti. La stagione si chiuse con la promozione in C1, festeggiata da un migliaio di ospiti a Sesto San Giovanni. Era nata l’Unione, quasi casualmente. Ma mentre prendeva forma l’identità unionista – nascevano anche gli Ultras Unione, gruppo storico scioltosi poi nel 2006 e mai davvero eguagliato negli anni a venire – non tutti, da una parte all’altra del Ponte, si rassegnavano alla nuova realtà. Nacquero squadre che si richiamavano al Venezia e al Mestre, mai veramente competitive. Dal Baracca al Penzo, poi, ristrutturato e tornato campo di casa nel ’91 – dopo lo storico spareggio di Cesena contro il Como, che valse l’ulteriore promozione in serie B con 7mila tifosi arancioneroverdi al seguito – resistettero gruppi anti-unionisti. Con tanto di screzi, botte e vicende paradossali, come quella di due fratelli veneziani, entrambi lancia-cori: uno nella Curva Sud unionista, l’altro nella Nord della Vecchia Guardia. Ma la squadra continuava a crescere: celebre la notte del 27 ottobre 1993, quando la Juve di Roby Baggio subì un rocambolesco 4-3 al Penzo in Coppa Italia e venne eliminata dai lagunari, esaltati dalla tripletta di Sasà Campilongo.
Dal paradiso all’inferno – A livello ufficiale, in realtà, il Calcio VeneziaMestre durò solo due stagioni: troppo invitante, per Zamparini, tornare al prestigio del nome Venezia. Eppure, per la tifoseria il dado era tratto: l’Unione non si toccava. Lo dimostrò in più occasioni, quando il patron friulano tentò di ridimensionare anche l’arancio sulle maglie, completando quasi totalmente la retromarcia. Una su tutte, la presentazione della squadra nel luglio ’99 a Villa Condulmer, Mogliano Veneto: gli ultras riuscirono con le cattive a far cambiare la divisa da gioco, poi ridisegnata con tre bande verticali proporzionate. Sul campo, intanto, l’ascesa verso i piani alti proseguiva spedita. Anche grazie a dirigenti come Vulcano Bianchi, Beppe Marotta e Gianni Di Marzio, scomparso lo scorso gennaio. E ad allenatori del calibro di Alberto Zaccheroni e Gian Piero Ventura (cui ne sarebbero seguiti altrettanti, da Spalletti a Prandelli). A scaldare il pubblico lagunare furono giocatori come Pedro Mariani, Giancarlo Filippini, Raffaele Cerbone, Ciccio Pedone, Claudio Bellucci e un giovane Christian Vieri. Senza contare i veneziani Fabiano Ballarin, Nicola Marangon e Stefano Polesel, talento puro di Burano. Fino alla serie A, conquistata dal Venezia di Novellino a trazione Luppi-Iachini-Schwoch. Tre stagioni intervallate da un pit-stop in B. Taibi, Maniero, Recoba. Impossibile dimenticare le punizioni implacabili dell’uruguaiano. Meno scontato il rigore parato dal difensore brasiliano Bilica a Shevchenko, a San Siro contro il Milan. Glorie e meteore, come il giapponese Nanami, ricordato solo per le schiere di tifosi orientali al Penzo. Poi i dissidi di Zamparini con la curva e con la politica locale, le bizze per la mancata costruzione dello stadio a Tessera e la fuga a Palermo. Con quel pulmino che da Pergine Valsugana portò a Longarone dodici giocatori – tra cui Maniero e Di Napoli – e l’allenatore Ezio Glerean. Una mazzata, per i lagunari.
Altalena lagunare. E oggi? – La B con il ritorno di Paolino Poggi, le salvezze nonostante dissesti finanziari e valigette (vedi caso Genoa), fino al tracollo. E alla ripartenza dalla C2. Con Nello Di Costanzo in panchina e il trio Moro-Pradolin-Gennari in campo, oltre a capitan Mattia Collauto, altra bandiera veneziana: subito promozione, in un clima tornato di festa. Anni di alti e bassi in Lega Pro, culminati nel secondo fallimento seguito dalla ripartenza in D come Fbc Unione Venezia. In campo, in quel 2009-2010, c’erano ancora Collauto e un giovane Marco Modolo, difensore di S.Donà di Piave che poi avrebbe vestito l’arancioneroverde fino alla risalita in A del 2021. In mezzo, cambi di proprietà – i russi, gli americani, come in una vecchia canzone di Lucio Dalla – e l’ennesimo fallimento. Fino all’era Tacopina, con il ritorno in B (Pippo Inzaghi il mister), e il passaggio a Duncan Niederauer, ex ad della Borsa di Wall Street. Che conquista la serie A con il duo Poggi-Collauto dietro la scrivania, il vicentino Paolo Zanetti in panca e il graffio finale del veneziano Riccardo Bocalon. Sembrava tutto perfetto. E invece è crollato tutto di nuovo. O quasi. Al di là della retrocessione, l’ambiente è rimasto scosso dall’esonero di Zanetti a cinque giornate dal termine (a campionato ormai ampiamente compromesso) e dagli addii al veleno. Non solo dello stesso Zanetti, ma anche del trio veneziano Poggi-Collauto-Marangon. Un progetto, quello della proprietà statunitense, che punta sulle scommesse, senza curarsi troppo di rompere con le due città. Per la prossima stagione in B il mister sarà il croato Ivan Javorcic. Il resto è tutto da scrivere.