Nei giorni scorsi il magistrato è stato sentito in aula a Novara come testimone: nel 2019 il boss lo minacciò durante un interrogatorio. "Dotto', ma voi sapete chi sono io? Sono Pasquale Renna, non ve lo scordate mai!", ha detto secondo la ricostruzione. A novembre la ministra Cartabia gli aveva rinnovato il 41 bis. Il sindacato della penitenziaria: "Clamorosa testimonianza di come i capoclan continuino a sfidare lo Stato dal carcere"
Potrebbe arrivare a ottobre la sentenza del processo che vede imputato il boss della Piana del Sele, Pasquale Renna, accusato di aver minacciato il pm antimafia Vincenzo Montemurro, oggi in servizio a Potenza. Ad aprile il magistrato è stato sentito in aula a Novara, da testimone della vicenda di cui è stato vittima. Vicenda che risale al 2019, quando Renna, detenuto nel carcere della città piemontese, rispose in malo modo al pm, all’epoca in forza alla procura di Salerno, salito apposta in Piemonte per interrogarlo sui fatti relativi a un omicidio ammesso dal fratello, che si era dissociato. “Dotto’, ma voi sapete chi sono io? Sono Pasquale Renna, non ve lo scordate mai!” ha detto Renna secondo la ricostruzione, aggiungendo poi mentre tornava in cella: “ma io gli mangio la testa a questo”, come annotato dagli agenti di polizia penitenziaria.
“Minacce che, come emerge processo in corso, sono la più clamorosa testimonianza che i capo clan dal carcere continuano a sfidare lo Stato e a tenere le fila dei traffici, dando ordini anche comodamente via telefono agli uomini sui territori”, commenta Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato Polizia penitenziaria Spp. “L’aspetto più inquietante – ricorda – è che il ministro Cartabia ha ritenuto necessario firmare contro di lui il rinnovo del 41 bis”: nel provvedimento di 12 pagine, che risale al novembre scorso, il boss è descritto come ancora pericoloso “in ragione della particolare posizione di responsabilità rivestita dal detenuto nell’ambito della organizzazione di appartenenza e del credito dallo stesso posseduto” e quindi “può fondatamente considerarsi tuttora sussistente il legame con la medesima, e il ruolo rivestito all’interno di questa”.
Renna è un pezzo da novanta della storia della camorra nel salernitano, tra Pontecagnano, Battipaglia e Bellizzi. In carcere dal 1995, sta scontando due ergastoli e una condanna a trent’anni per tre omicidi, oltra una condanna per associazione camorristica, per aver promosso un clan legato alla potente cosca dei Cesarano, attiva nel napoletano. Il decreto di rinnovo del 41 bis ricorda un episodio inquietante: la folla che il 4 gennaio 2017 si formò sotto la casa della madre del boss, a Bellizzi, quando il figlio andò a trovarla. Erano andati lì per rendergli omaggio e salutarlo. Una prova, secondo il ministro, dell’ascendente che ancora esercita Pasquale Renna verso la popolazione locale. Durante la deposizione a Novara, il pm Montemurro ha precisato come sono andate le cose: “(Renna) si è alzato e ha cominciato a battere pugni sul tavolino che ci separava. Diceva: “Lei non sa chi sono io. Me ne vado”. Non ci fu tentativo di aggressione, io gli ripetevo solo che doveva firmare il verbale ma lui si rifiutò”.
Aggiornamento del 4 luglio 2022
Per completezza d’informazione, riportiamo quanto comunicatoci dal difensore di Renna, l’avv. Giuseppe Russo: “Dall’esame testimoniale citato emerge incontrovertibilmente che il signor Renna non ha mai aggredito il Dott. Montemurro e non lo ha mai minacciato: le frasi contestate all’imputato sono state pronunciate dallo stesso ad un centinaio di metri dalla sala ove si trovava il pm mentre Renna “parlava da solo”, come testimoniato dall’assistente capo durante l’escussione in aula. Inoltre l’escussione di Renna è avvenuta senza la presenza del difensore: è tanto è cristallinamente accertato”. La sentenza è attesa per l’11 ottobre 2022.