Italiani popolo di santi, poeti e… nuotatori. Quello che è successo negli ultimi giorni ai Mondiali a Budapest, ma che in realtà va avanti da diversi anni, ha qualcosa di miracoloso. L’Italia è diventata stabilmente una delle potenze mondiali di questo sport, l’unica nazione in grado di star dietro agli Stati Uniti (e a volte persino di batterli), l’eccellenza unanimemente riconosciuta della disciplina. Quello che nella storia dello sport italiano è stata a lungo la scherma, ma in un panorama oggettivamente molto meno competitivo, dove la nostra squadra dominava una specialità ristretta a 4-5 Paesi (e infatti ora che si è globalizzata l’egemonia azzurra è stata ridimensionata). Il nuoto invece è una disciplina davvero planetaria. E noi siamo i più bravi di tutti. Più del calcio in declino, della pallavolo o del ciclismo, il nuoto è il vero sport nazionale d’Italia.
I Mondiali 2022 in vasca si sono conclusi con l’Italia seconda nel medagliere assoluto, con addirittura 15 podi e 7 ori, alle spalle solo degli inarrivabili Stati Uniti, ma davanti Australia, Cina, Canada, Giappone (e mancano ancora le acque libere e la pallanuoto). Difficile scegliere un successo più significativo di un altro: le vittorie di copertina sono state sicuramente quella dell’eterno Gregorio Paltrinieri nei 1500 stile libero, oppure di Thomas Ceccon nei 100 dorso con tanto di record del mondo. Ma forse ancora più straordinario è stato il trionfo della staffetta 4×100 mista maschile, la gara che più di tutte rappresenta la completezza di un movimento, perché bisogna schierare un atleta in ogni specialità. Che fino ad oggi l’Italia non aveva mai vinto, e gli Stati Uniti non avevano praticamente mai perso.
Sono oltre 20 anni, dalle prime medaglie di Fioravanti e Rosolino ai Giochi di Sidney 2000, che l’Italia primeggia nel nuoto. Ma adesso il movimento italiano ha raggiunto un’altra dimensione, di grandezza definitiva. Se nel recente passato eravamo stati abituati ad avere grandi campioni come Federica Pellegrini, Filippo Magnini, Paltrinieri, stelle di una luminosità eccezionale ma piuttosto isolata, oggi la nazionale azzurra è una squadra totale. Non esistono più discipline tabù, come un tempo erano magari il dorso o la farfalla. Non ci sono buchi o talloni d’Achille: praticamente in ogni gara l’Italia può schierare un atleta da finale mondiale, spesso in grado di giocarsi il podio o proprio la vittoria. Il ricambio è continuo: le generazioni si inseguono una dopo l’altra, Paltrinieri e Gabriele Detti (un altro ex campione mondiale) a 27 anni sembrano quasi vecchi, Simona Quadarella che pure non vive il momento migliore della sua carriera a 23 è una veterana. L’età media della staffetta iridata (Miressi 23, Martinenghi 22, Ceccon 21, Burdisso 20) spiega che la generazione futura dei classe 2000 rappresenta già il presente.
Questa straordinaria profondità, tra l’altro, permette da una parte ai nostri giovani di cimentarsi subito in un contesto competitivo, dall’altro di avere il tempo per crescere e sbagliare, di nuotare senza l’assillo della vittoria, perché il movimento può permettersi di aspettarli. Lo dimostrano i casi di Ceccon, di cui nonostante i suoi 21 anni si parla da svariate stagioni e ha avuto bisogno di aggiustare parecchio il tiro per esplodere, oppure di Benedetta Pilato, che aveva toppato in maniera piuttosto clamorosa il debutto olimpico a Tokyo: non è un dramma a 16 anni, e infatti si è subito rifatta. Così a Budapest in questi giorni, lontano dai riflettori accesi sui medagliati, si sono già affacciati sul palcoscenico internazionale altri ragazzini prodigio, come il 2006 Lorenzo Zanossi, che hanno maturato le prime esperienze e rappresentano l’oro del domani.
Potremmo chiamarlo miracolo italiano, ma in questo fenomeno c’è poco di casuale: non tutto può essere spiegato, in questi cicli c’è sempre una componente imprevedibile, ma anche all’estero cominciano a studiarne i segreti. In Spagna, ad esempio, negli ultimi giorni due quotidiani prestigiosi come El Mundo e El Paìs, hanno dedicato interi articoli all’exploit del nuoto azzurro. C’è ovviamente lo spirito d’emulazione delle gesta di campioni come Paltrinieri e Pellegrini, che hanno portato in vasca migliaia di ragazzini, ma conta tanto l’organizzazione. La Federazione ha messo in piedi un meccanismo quasi perfetto, che inizia sul territorio, nelle piscine di tante società, entrate ormai nella cultura sportiva del Paese (fare nuoto per un bambino tra i 10 e i 15 anni è una sana abitudine), da vero sport nazionale. E poi arriva fino alla piramide del movimento, con tecnici fra i più preparati al mondo, nei centri federali di Ostia o di Verona, autentici gioielli dove i talenti migliori si allenano insieme, e si migliorano a vicenda. Dopo il trionfo di Budapest, il presidente della FederNuoto, Paolo Barelli, ha lanciato l’allarme per i problemi economici e gestionali che le piscine italiane stanno vivendo dopo la pandemia. In un Paese in cui lo Stato non ha mai fatto praticamente nulla per far crescere lo sport a scuola, siamo riusciti comunque a costruire una filiera d’eccellenza mondiale. Cerchiamo almeno di non distruggerla.