Politica

Io, elettore di destra, a Verona ho votato Tommasi. E non perché ci vedo il cambiamento

Tanto per fugare ogni incertezza, sono quello che si dice un elettore di centro-destra. Come tanti altri, anche se, ovviamente, non ho mai votato per questa destra, da Berlusconi in poi. Sono tra i pochissimi rimasti che credono che la Destra sia fatta di idee, regole e principi, non affari e tattiche. Va da sé quindi che ho fatto una fatica bestiale, ieri, trascinato dalle mie figlie ho anch’io votato Tommasi. Ma non canterò vittoria, Dio ce ne scampi!

Verona, ancor più dell’Italia viene da una crisi economica, culturale e politica disastrosa. Troppo lunga da narrare per intero, ma basterà dire che ha perso due banche e la maggiore società di assicurazione, non ha più l’aeroporto, l’Arena (lirica) è sommersa da debiti ed è sprofondata da un punto di vista qualitativo; è fuori dai giochi politici regionali (comandano Treviso e Padova), la politica locale è stata travolta a più riprese dal malaffare.

In questo modo è chiaro che Tommasi, il calciatore, non ha vinto perché è il cambiamento. Perché non litiga con gli avversari politici e per tutte quelle caratteristiche, più folkloristiche che divertenti, che i giornali gli attribuiscono. Tommasi ha vinto semplicemente perché i suoi predecessori avevano fatto male, molto male. Punto.

I veronesi – quei pochi che non si sono fati sopraffare dal disgusto e dalla rassegnazione – hanno dato una grande prova di maturità – non come vorrebbero i ciechi partitelli tradizionali: perché hanno votato il centro sinistra – ma perché hanno dimostrato di non guardare più e non fidarsi dei proclami ideologici. Non basta più a Verona dire alla gente “sei dei nostri! votaci”. I veronesi hanno probabilmente capito che sotto le ideologie si possono nascondere delle schifezze immemorabili.

Così l’avvocato Federico Sboarina, già sindaco per una legislatura, già assessore insieme con l’odiato Tosi sindaco, esponente di una lista civica, è stato mandato a casa. Ma perché in cinque anni aveva parlato molto e fatto poco, certo con la scusa del Covid.

Non ha nemmeno iniziato nessuno dei grandi progetti che la città si trascina da decenni; non ha risanato e rilanciato come aveva promesso la Fondazione Arena; in compenso è stato prono ai soliti “poteri forti” a spese della pianificazione urbanistica, ha completamente dimenticato e per nulla ascoltato le esigenze dei cittadini. Ha azzerato il budget della cultura, salvo presuntuosamente cercare di concorrere per la Capitale della cultura (premio agli Scaligeri?) ed è anche incespicato in qualche poco simpatica vicenda personale con le compravendite immobiliari. Non ha invertito la linea della politica italiana degli incompetenti al potere, segnatamente nelle milionarie società municipalizzate, che si è guardato bene dal cedere ai privati, anche a costo di inefficienze crescenti. Le persone delle quali si è circondato – anche se i veronesi hanno dimostrato grandi capacità di sopportazione – sono regolarmente scelti tra gli amici degli amici, sostituendo per ordini superiori gli amministratori capaci (vedi: Ente Fiera) ed escludendo le donne anche contro la legge.

Ci sarebbe un lungo cahier de doléances da ricordare sui cinque anni della giunta Sboarina, dove l’unico assessore che ha cercato di resistere, è stato neutralizzato, al punto che non si è nemmeno presentato al rinnovo elettorale. Nessuno potrà negare che Tommasi abbia vinto per manifesta pochezza degli avversari (e qualcuno nel centrodestra a suo tempo, a dire il vero, aveva cercato di far capire quanto fosse debole il candidato).

Ma le città di provincia, in particolare Verona, non amano la concorrenza e il merito individuale. Preferiscono vincere conservando. I giornali locali pensano di aumentare la tiratura riducendo le informazioni, il successo delle imprese e delle banche dovrebbe venire per investitura divina. In provincia il Potere è concepito come un qualcosa di eterno, immobile come il Primo Motore, che nulla può scalfire.

Invece, Verona ha reagito, Verona ha dato un segno. Un segno che vale anche per tutte quelle altre aree del paese che credono ancora ai principi immarcescibili del conservatorismo provinciale. Perché prima o poi qualcosa cambia.

Questo però non basta. Non basta annunciare il cambiamento, che è un disco già sentito. Perché le ricadute non siano ancora peggiori, perché cioè sia scongiurato il ritorno già visto di vecchi arnesi ancora peggiori, chi afferma il cambiamento poi deve metterlo in pratica, e questo è un compito molto difficile che da decenni non vediamo. Ora Tommasi ha la possibilità – molto teorica – di passar alla storia. Ma ha anche il rischio altamente probabile di finire in compagnia dei molti scarti della Politica che hanno governato e ancora governano in parte questo Paese.