Certificati fasulli per ottenere il rinvio delle udienze. È l’accusa mossa dalla procura di Potenza nei confronti di tre avvocati e un medico, tutti del potentino, per i quali gli inquirenti guidati dal procuratore Francesco Curcio, hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato con le accuse di falso in atto pubblico, falso per induzione e falsa attestazione in atti destinati alla autorità giudiziaria.
Nei guai sono finiti gli avvocati Antonio, Pasquale e Donato Murano, dell’omonimo studio legale di Rionero in Vulture in provincia di Potenza e del medico di base dello stesso comune, Donato Labella. Sono ben 16 i capi di imputazione mossi dalla procura lucana dopo gli accertamenti svolti su alcuni certificati medici che Labella aveva rilasciato negli ultimi due anni a uno dei tre avvocati e poi al maresciallo Donato Paolino, militare assistito dallo studio Murano dopo l’accusa di concussione che nel 2020 lo portò ai domiciliari. L’inchiesta che ha travolto i professionisti secondo l’accusa hanno accertato che nel corso dell’ultimo anno, il procedimentale penale nei confronti di Paolino era in stallo a causa dei diversi rinvii ottenuti presentando i certificati medici: nessuna udienza, insomma sarebbe stata celebrata negli ultimi 12 mesi e le uniche quattro udienze fissate erano state tutte consecutivamente rinviate per impedimenti, una per Covid e le altre per i certificati firmati da Labella con cui aveva diagnosticato sempre la stessa malattia che impediva di viaggiare una volta all’imputato e altre due volte al difensore.
La possibilità che difensore e assistito potessero essere affetti dalla stessa malattia a ridosso delle udienze aveva insospettito gli inquirenti, ma è stato quanto accaduto a marzo che ha confermato quei dubbi. Nei giorni che hanno preceduto l’udienza del 24 marzo, infatti, secondo quanto contesta la procura lucana, l’avvocato Antonio Murano, aveva dapprima chiesto al collegio di magistrati il rinvio per impegni concomitanti senza tuttavia depositare la documentazione che lo comprovasse, poi aveva chiesto informalmente al pubblico ministero di dare parere favorevole al rinvio, e infine il giorno precedente l’udienza, aveva raggiunto nelle aule del Tribunale il presidente del collegio e gli aveva riferito che il pm di udienza gli aveva manifestato il suo parere favorevole al rinvio dell’udienza. Il magistrato giudicante, tuttavia, gli aveva fermamente risposto che solo se l’impegno professionale concomitante fosse stato da lui documentato avrebbe valutato l’istanza di rinvio. La mattina successiva, però, in aula era giunta l’istanza di rinvio, ma con allegato un certificato medico. A quel punto la procura aveva inviato un medico scortato dai carabinieri a casa del legale per accertare il suo stato di salute.
L’avvocato si era sottoposto alla visita e nei giorni successivi aveva appreso di essere indagato: Murano aveva così inviato alla stampa una nota attaccando l’operato della procura. La vicenda aveva scatenato la reazione dei penalisti lucani che per solidarizzare col collega avevano indetto una settimana di astensione nel mese di aprile. Il procuratore Curcio con una nota aveva replicato provando a spiegare la vicenda e sottolineando che l’accusa aveva agito nel rispetto di tutte le regole. La tensione tra avvocatura e procura potentina, però, era salita alle stelle. La vicenda era finita sui media nazionali. A distanza di qualche mese, però, il procedimento penale nei confronti dell’avvocato Murano e degli altri indagati è giunto a conclusione: gli accertamenti degli inquirenti avrebbero acquisito una serie di indizi tali da ottenere l’avvio di un processo senza passare per l’udienza preliminare. Negli atti sono finiti i tabulati telefonici e telematici che secondo la procura risultano “non compatibili con le visite mediche” e nemmeno con “il decorso della sempre identica malattia diagnosticata”. Non solo. Una consulenza grafologica, per la procura potentina, dimostra che quei certificati “non risultavano redatti e firmati dal Labella” e inoltre che a quei certificati medici non avrebbero fatto seguito l’assunzione di farmaci prescritti “a distanza” dal medico. Ora sarà quindi un processo a valutare le eventuali responsabilità penali degli avvocati e del medico sotto accusa.
In una nota inviata alla stampa, il procuratore Curcio ha dichiarato che “alcun atto invasivo o illegittimo o inutilizzabile è stato svolto durante le indagini. Invero, l’intero quadro probatorio ed investigativo è stato più volte sottoposto al Gip per ottenere le dovute autorizzazioni ed è stato sempre ritenuto, dall’organo giudicante, che l’azione e gli atti svolti da questo Ufficio siano stati legittimi e pienamente utilizzabili. Conclusivamente, all’esito della indagine preliminare in esame – ha aggiunto il capo degli inquirenti lucani – deve essere sottolineato non solo (e come sempre) il principio di presunzione d’innocenza nei confronti degli imputati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva di condanna, ma, anche, che (a fronte di polemiche, denunce, accuse fondate su di una parziale ed unilaterale ricostruzione dei fatti) questo Ufficio, senza farsi condizionare in alcun modo da dinamiche esterne al procedimento, continua e continuerà sempre a svolgere con imparzialità, onore e disciplina le proprie funzioni ed il proprio mandato, dando concretezza, sempre, al principio per cui la legge è uguale per tutti”.