L’Italia centro settentrionale fa mestamente i conti con un’altra siccità, forse più severa di quelle del 2007 e del 2017 ma non ancora paragonabile alla grande secca europea del 1975-1976, facendo gli scongiuri di rito. Durate questa crisi, la peggiore del XX secolo, nel Regno Unito si vendevano t-shirt con lo slogan “Save water – bath with a friend”: risparmia l’acqua, fa’ il bagno con un amico. All’epoca, una delle risposte fu la decisa riduzione del vaso sanitario, il cui volume di 12 e più litri passò rapidamente a 8, fino a ridursi a 6 o perfino 4 negli impianti più moderni. Una trovata che venne proprio dalla Gran Bretagna, dove il sifone che sigilla idraulicamente lo scarico evitando cattivi odori era stato introdotto dal meccanico scozzese Alexander Cummings nel lontano 1775. L’iniziativa fu poi seguita dall’Europa continentale e dal resto del mondo.
Per ora, il meridione d’Italia subisce meno del nord l’impatto di un anno idrologico, il 2021-2022, assai avaro di precipitazioni. E una buona notizia consola la Calabria, poco nota per decisioni di politica ambientale, agricola ed energetica particolarmente lungimiranti. La diga di Re di Sole inizia a invasare “sperimentalmente” le acque. Un’annosa e penosa vicenda – quasi un modellino a piccola scala delle peripezie della grande diga incompiuta dell’Alto Esaro a Cameli – si sta concludendo felicemente.
La diga, costruita in Sila nel territorio di San Giovanni in Fiore, fu progettata sessant’anni fa e realizzata in poco più di dieci anni dall’Opera Sila, a partire dal 1978 (vedi Fig.1). Ma non era mai entrata in funzione. Sono state evidentemente risolte le grane strutturali, alcune vistose crepe che avevano suggerito di sospendere l’avvio del riempimento; e sono stati finalmente fugati i timori per i possibili cedimenti che avrebbero messo in pericolo la vallata sottostante. Alta 40 metri e larga 13, è classificata quale grande diga, ma può invasare soltanto un milione e mezzo di metri cubi d’acqua. Per le coltivazioni vallive dell’Alto Crotonese, però, si tratta davvero di oro bianco, come evoca l’immaginario collettivo dei nepalesi, almeno quelli insensibili alla lezione di Cavour che aveva battezzato l’acqua carbone bianco.
Prima o poi, anche il bozzolo delle incompiute si schiude. E non stupisca l’etichetta di “invaso sperimentale” con cui la bandierina dello starter si è alzata. Le dighe italiane sono vetuste, hanno una età veneranda, quasi settant’anni in media, molti perfino nella visione ottimistica della signora Fornero in merito alla durata della vita. Fino a poco tempo fa, poco meno di un centinaio delle 540 grandi dighe italiane erano ancora in esercizio sperimentale. La cautela non è mai troppa e l’esercizio sperimentale comporta un controllo più assiduo. Niente di male, però: invasano comunque, porgendo i loro servigi alle comunità vallive.
Le dighe svolgono una grande funzione, messa in crisi sulle Alpi dalla progressiva mutazione di regime da nivo-pluviale a pluviale che dovrebbe fare riflettere sulle loro regole di gestione. E su eventuali interventi strutturali, se necessari a fronteggiare il cambiamento. L’anticipata caduta dei livelli idrici dei grandi laghi prealpini rispetto ai minimi storici di questo secolo preoccupa l’Italia nord-occidentale: il precoce gradiente negativo è ormai evidente sia nei grandi laghi (Verbano e Lario, vedi Fig.2) sia in lago minori ma di notevole importanza idroelettrica come il lago d’Idro (vedi Fig.3) risparmiando per ora il solo Garda (vedi Fig.4).
La crisi colpisce non solo il bacino padano, ma anche altre regioni europee. E l’impatto non è solo agricolo, ma anche energetico. Già nel mese di maggio 2022, France 24 annunciava “la siccità senza precedenti in Francia” poiché, già prima dell’inizio della stagione estiva, 15 dipartimenti avevano dovuto limitare gli usi dell’acqua. E, secondo le ultime previsioni di Météo-France, l’imminente estate francese sarà eccezionalmente calda e secca. A sua volta, il governo spagnolo aveva adottato misure urgenti per alleviare gli effetti della siccità sull’agricoltura già il 5 marzo 2022, quando la capacità degli invasi sbarrati dalle 1.250 grandi dighe iberiche era scesa al 44 percento del totale, livello più basso dal 1995.
È crisi idrica su vasta scala anche in Europa, ormai si può dire con ragionevole certezza. Consiglio perciò ai curiosi di rileggere la Relazione Seeber su come affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell’Unione Europea, approvata dal Parlamento Europeo il 22 settembre 2008. Delle 65 raccomandazioni, la quinta suona particolarmente attuale. È quella con cui il Parlamento Europeo “chiede alle autorità regionali e locali di cogliere le grandi occasioni che presentano i fondi strutturali e di investire nel miglioramento o nel rinnovo di infrastrutture e tecnologie esistenti (in particolare in regioni in cui le risorse idriche sono sprecate a causa di perdite nelle condutture), compreso in particolare il ricorso a tecnologie pulite che facilitano l’uso efficiente dell’acqua e possono essere collegate alla gestione integrata delle risorse idriche, in particolare per far fronte alla problematica dell’efficienza idrica (in termini di risparmi e di riutilizzazione) nei settori agricolo e industriale oltre che da parte dei consumatori privati”. La piccola diga silana di Re di Sole, anche se a scala ridotta e con passo lento, si è mossa comunque in questa direzione, mentre altrove la politica si è alacremente prodigata in direzione ostinata e contraria.
Con la raccomandazione 54, inoltre, il Parlamento Europeo riteneva che “l’acqua debba restare un bene pubblico e un elemento fondamentale della sovranità dei paesi, accessibile a tutti a prezzi sociali ed ambientali equi, tenendo specialmente presente la situazione specifica di ogni paese e dei vari sistemi agricoli esistenti come pure il ruolo sociale svolto dall’attività agricola”. Forse, il referendum italiano del 2011 sull’Acqua Bene Comune era inutile: bastava praticare quanto raccomandato dall’Europa! E che fosse affatto inutile lo abbiamo toccato con mano in seguito.