L'ex gip barese era accusato - in concorso con un imprenditore agricolo e un caporal maggiore capo scelto dell’Esercito - di traffico e detenzione di armi ed esplosivi, anche da guerra, del relativo munizionamento e di ricettazione. Nella primavera 2021 furono ritrovati più di 200 pezzi tra fucili mitragliatori, fucili a pompa, mitragliette nonché armi storiche, pistole, esplosivi, bombe a mano e una mina anticarro
Dodici anni e 8 mesi di carcere. È la pena inflitta all’ex giudice per le indagini preliminari Giuseppe De Benedictis, che era in servizio al Tribunale di Bari. L’ex magistrato è stato giudicato con rito abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, Laura Liguori, ed era accusato – in concorso con l’imprenditore agricolo Antonio Tannoia e il caporal maggiore capo scelto dell’Esercito Antonio Serafino – di traffico e detenzione di armi ed esplosivi, anche da guerra, del relativo munizionamento e di ricettazione. Anche Tannoia è stato condannato alla stessa pena, mentre Serafino ha scelto di patteggiare 5 anni di reclusione. La pena inflitta è stata superiore ai 12 anni chiesti dalla procura di Lecce.
Si tratta del secondo procedimento a carico dell’ex giudice barese, già condannato dalla stessa gup di Lecce a 9 anni e 8 mesi di reclusione per quattro episodi di corruzione in atti giudiziari relativi a presunte tangenti intascate in cambio di scarcerazioni. Il procedimento arrivato oggi a sentenza nasce dal ritrovamento nella primavera 2021 nel deposito sotterraneo di una villa di Andria di un arsenale da guerra composto da più di 200 pezzi tra fucili mitragliatori, fucili a pompa, mitragliette – tra cui 2 kalashnikov, 2 fucili d’assalto AR15, 6 mitra pesanti Beretta MG 42, 10 MAB, 3 Uzi – nonché armi antiche e storiche, pistole di vario tipo e marca, esplosivi, bombe a mano e una mina anticarro, oltre a circa 100.000 munizioni.
Quando venne scoperto l’arsenale, De Benedictis venne arrestato e nell’ordinanza di custodia cautelare si leggeva che quella “montagna” di armi era simile “all’arsenale di una cosca di mafia di altissimo livello”. La Dda di Lecce sospettò anche che il magistrato le custodisse “per conto di soggetti terzi appartenenti a persone orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata locale”. In un’intercettazione, l’ex magistrato diceva che se le armi fossero state scoperte poi “risalgono a chi non devono”.