“Se n’è andato un grande italiano. Ne sentirò la mancanza come amico, come imprenditore e come uomo di principi”. Il cordoglio di Francesco Gaetano Caltagirone per la morte di Leonardo Del Vecchio, avvenuta lunedì 27 giugno a Milano, è l’unica conseguenza certa e indiscutibile della scomparsa del patron di Luxottica sulla partita che l’ex Martinitt stava giocando in Mediobanca e in Generali in sintonia con il costruttore-editore romano.
Tutto il resto sono ipotesi e domande che troveranno parziale risposta solo all’apertura del testamento di Del Vecchio. Se infatti è noto che il secondo uomo più ricco d’Italia ha lasciato la sua fortuna (oltre 25 miliardi di euro il solo patrimonio personale secondo Forbes) ai suoi 6 figli e all’ultima moglie Nicoletta Zampillo, che riceveranno rispettivamente il 12,5% ciascuno e il 25% della holding lussemburghese Delfin, non è altrettanto certo che il successore del geniale re degli occhiali sarà l’attuale numero uno di Essilor Luxottica, Francesco Milleri. Anche se è molto probabile visto il crescente ruolo assunto dal manager dall’uscita di scena di Andrea Guerra in poi.
Una volta ufficializzato il successore, il cui nome è stato scritto dallo stesso Del Vecchio in un documento che non è ancora stato reso pubblico, bisognerà conoscerne le intenzioni rispetto al futuro delle partecipazioni che facevano del patron di Luxottica il primo azionista di Mediobanca e il terzo delle Generali, con quote rispettivamente del 19,5 e del 9,9 per cento. Il successore vorrà continuare a giocare sulla scacchiera di una partita per il controllo della cassaforte d’Italia, che era già in stallo o cercherà una via di uscita onorevole e conveniente? Nel primo caso sarà in grado di arrivare dove neppure il brillante fondatore dell’impero di Agordo è riuscito? Nel secondo, quale sarà il prezzo della convenienza? E soprattutto gli azionisti saranno d’accordo? Perché per statuto, senza il voto favorevole dell’88% dei soci di Delfin non si va da nessuna parte.
“Ho sempre apprezzato la sua lealtà, la sua voglia di lavorare per il bene dell’azienda, con assoluto distacco dal potere che la forza economica può dare, la sua grande visione anche sociale”, ha aggiunto Caltagirone tratteggiando un uomo dal quale ci si aspettano delle sorprese. E se anche le aspettative dovessero essere deluse, c’è il dato di fatto che la battaglia per le Generali ha già visto Caltagirone (e con lui Del Vecchio) uscire sconfitti in assemblea, con il costruttore che sta proseguendo lo scontro in consiglio di amministrazione. Le attese erano quindi che la guerra si trasferisse al piano di sotto, in Mediobanca appunto. La banca d’affari milanese che è il primo socio delle Generali, ha ottenuto la vittoria della sua lista di consiglieri di amministrazione per la guida della compagnia triestina contro appunto Caltagirone e Del Vecchio, suoi azionisti forti dai quali si attendeva una controffensiva.
Ma i tempi stringono e i margini di manovra sono pochi, con la Bce che avrebbe già messo limiti molto chiari a una crescita di Delfin nell’azionariato della banca milanese: possibile, ma solo a patto di trasformarsi in holding bancaria. Non immediato, quindi. E non da sola. Sul mercato nel giorno della morte di Del Vecchio Generali e Mediobanca hanno perso rispettivamente il 3 e il 2,6% in linea con l’andamento negativo del settore bancario e assicurativo in Borsa, dove Trieste è stata la peggiore seguita dal Banco Bpm, mentre gli analisti di Morgan Stanley parlano di clima di incertezza per piazzetta Cuccia nel dopo Del Vecchio.