I docenti di ruolo snobbano il “Piano estate” così a farlo sono solo giovani precari spesso non qualificati; le segreterie vanno in affanno per produrre la rendicontazione; i soldi non sono sufficienti per tutti; la progettualità è solo sulla carta e alla fine è il privato a mettere le mani sulla scuola. Le organizzazioni sindacali non hanno problemi a parlare del business del “Piano estate”. Se il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi annuncia in pompa magna che la scuola resterà aperta anche nei prossimi mesi c’è anche chi (sindacati e presidi) raccontano un’altra storia.
Secondo i numeri del ministero saranno realizzati 57 mila progetti in 3.119 istituti scolastici, ma 1.881 scuole che hanno lavorato per presentare il progetto non riceveranno nulla e dovranno usare risorse interne o rinunciare alle attività estive. L’anno scorso su 5.888 istituti che hanno fatto richiesta per avere i finanziamenti del bando Pon (320 milioni di risorse europee), 1.941 scuole non hanno ricevuto nulla da questo capitolo (3.946 sono state finanziate) ma si sono accontentate dei circa 18-20 mila euro distribuiti attraverso un decreto ministeriale a tutte le realtà. Nel 2021 oltre ai Pon c’erano a finanziamento 190 milioni arrivati dallo Stato con Legge 41 del 22 marzo e il decreto 48 del 2 marzo. Quest’anno i milioni del fondo Pon sono calati a 179 anche se – precisano dal ministero – “anche i fondi restanti dello scorso anno possono essere usati”. Sempre che sia rimasto qualcosa.
Il problema non è solo questo. Pino Turi, segretario della Uil Scuola e Manuela Calza della Flc Cgil tuonano contro il progetto di Bianchi: “Parliamoci chiaro: quella che si fa non è scuola ma assistenza. Stiamo – afferma il primo – trasferendo risorse dal pubblico al privato con un surplus di lavoro delle segreterie”. Altra questione: a fare il “Piano estate” non sono i docenti di ruolo e nemmeno quelli a tempo determinato ma persone che spesso non hanno le qualifiche richieste a chi entra in classe. Calza parla di “Buone intenzioni e tanta retorica sulla carta ma pochi interventi concreti”. Mancano finanziamenti aggiuntivi e c’è la tendenza a delegare il piano fuori dalla scuola pur di farlo. “C’è il rischio di privatizzare l’offerta formativa”, sottolinea la sindacalista. Un dato confermato dal segretario nazionale della Flc Francesco Sinopoli: “Di fronte alle scelte di questo Governo sulla scuola, scema anche la motivazione dei docenti a dare il proprio contributo in iniziative come questa”.
A rincarare la dose ci pensa Ivana Barbacci, numero uno della Cisl Scuola: “Molte scuole lamentano il fatto di avere le risorse assegnate sulla carta ma non averle in cassa. Inoltre non basta dire che le aule sono aperte d’estate: serve una progettualità che non può essere chiesta alle scuole nel giro di poco tempo. Al ministero ancora non hanno compreso che non possono far cadere questi progetti sulle teste dei presidi e dei docenti come fossero adempimenti”. E a proposito di dirigenti, interviene anche il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che al FattoQuotidiano.it spiega: “Le risorse per il Piano estate arrivano dai pon ma spesso le segreterie non sono esperte e le rendicontazioni sono troppo onerose”.
Chi è in trincea, i colleghi di Giannelli, sono infuriati con il ministro: “Adesso basta. Ci siamo rotti…non è giusto che i finanziamenti per il “Piano estate” vengano dati sulla base di criteri che non premiano chi è in un territorio più fortunato o chi ha buoni risultati Invalsi. Per avere i soldi dei Pon bisogna esser messi male”. A denunciare per primo la questione è Alfonso D’Ambrosio, dirigente del comprensivo di Lozzo Atestino: “Pensare di investire sulla scuola distinguendo tra aree del Paese o zone d’Italia si fa un torto a tutti. Si ritiene il piano “Scuola Estate “ sia un investimento di valore per tutti? Bene, che si diano fondi a ogni scuola, un po’ meno ma a tutte. E a coloro che fanno fatica nella gestione dei Pon (la burocrazia è tanta) si diano risorse e semplificazioni per supportarli”.
Dello stesso parere il dirigente del comprensivo “Spini Vanoni” di Morbegno, Pierluigi Labbadia: “Il sistema è iniquo. Il “Piano Estate” serve a tutti i ragazzi. La pandemia non ha fatto selezioni: tutti hanno bisogno di recuperare socialità. In una scuola come la mia, seppur in un territorio con buoni parametri economici, ci sono comunque famiglie bisognose. Si diano certamente più risorse a chi vive in situazioni di disagio ma non si dimentichino gli altri”. Labbadia senza fondi richiesti ora non è certo di poter tenere aperta la scuola a giugno, luglio e agosto. Emanuela Veronese, invece, a capo dell’educandato statale “San Benedetto” ad Arcella userà i fondi della scuola: “Se ci avessero dato i sessanta mila euro richiesti – spiega al FattoQuotidiano.it – avremmo potuto fare di più e remunerare maggiormente chi lavorerà per no”. A dare man forte ai colleghi è anche Alberto Ardizzone che sulla pagina Facebook di D’Ambrosio è particolarmente critico nei confronti del Governo: “Le graduatorie automatiche su indicatori incerti sono da Medioevo. Se per i Pon la graduatoria è obbligatoria, la si faccia ma poi i fondi vanno divisi tra tutti, con un semplice meccanismo di controllo e monitoraggio”.
Paradossale la situazione di Giacomo Vescovini che dirige due scuole: una a Fornovo (sei mila abitanti in provincia di Parma) e l’altra a Fontanellato (sette mila cittadini, sempre della stessa provincia): 32 chilometri di distanza l’uno dall’altro, trenta minuti di auto. Nel primo paese sono stati assegnati i fondi Pon, nel secondo nulla. Tra tutti c’è anche chi ha preferito persino non fare la fatica di partecipare al Pon: “I tempi per realizzare questi progetti – ci racconta Lucio Bontempelli, preside a Marina – non ci sono. L’autonomia è calpestata dai questi progetti”. A essere felice è, invece, Valeria Sentili, dell’istituto “Francesca Morvillo” a Tor Bella Monaca che lo scorso anno aveva denunciato per prima la mancata erogazione dei fondi: “Se fossi rimasta fuori graduatoria anche quest’anno mi sarei incatenata. Avremo 68 mila euro ma va detto che questo criterio legato all’Invalsi non funziona. Vien da fare una battuta: quest’anno forse avremo fatto qualcosa di male per meritarci questi soldi!”.