Il figlicidio è sicuramente uno dei crimini che ci lascia più sgomenti ed increduli soprattutto quando si consuma all’interno di una famiglia apparentemente normale in un pomeriggio come tanti in un paese di provincia dove la vita scorre tra lavoro e studio, faccende domestiche e commissioni da sbrigare, ritualità di gesti quotidiani come andare all’asilo a prendere i bambini e prepararsi per andare ad una festicciola da amici e parenti. E’ in questa cornice che lo scorso 13 giugno si è consumato uno dei delitti più inquietanti della storia della cronaca nera del nostro Paese, un evento che, stando alle prime notizie diffuse dai telegiornali, faceva pensare ad un’aggressione e al rapimento della piccola Elena Del Pozzo per mano di un commando di 3 malviventi incappucciati come inizialmente raccontato ai carabinieri da sua madre, Martina Patti.

Il tutto è avvenuto in una frazione di Catania dove la giovane di 24 anni ha inizialmente tentato di depistare gli inquirenti e i propri familiari inscenando una finta imboscata condita da particolari del tutto inventati come la pistola puntata addosso da uno dei fantomatici aggressori e la sciarpa nera avvolta intorno al viso della figlioletta di 5 anni prima di rapirla facendo allusioni alle cattive frequentazioni dell’ex compagno, padre della bimba, e paventando una sorta di regolamento di conti proprio nei confronti dell’uomo.

Martina Patti ha raccontato un sacco di bugie che hanno finito per insospettire le forze dell’ordine e dopo quasi 24 ore è crollata e ha confessato prima a suo padre e poi agli inquirenti che in realtà era stata lei ad uccidere la propria figlia, ad avvolgerla in sacchi neri di plastica e a seppellirla in una buca scavata in un campo poco lontano da casa. I primi esiti dell’autopsia purtroppo ci rivelano che questa madre ha inferto alla propria creatura ben 11 coltellate di cui una in particolare si è rivelata letale ma alla base di questo orrendo delitto pare proprio non esserci alcun segno di infermità mentale, anzi, come scrive il gip nelle 15 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, la donna era nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche quando ha ucciso la figlia essendosi procurata gli attrezzi per scavare la buca in un luogo impervio e isolato dove seppellire il cadavere.

A corroborare la tesi del gip ci sono le ultime immagini delle telecamere di sorveglianza diffuse dalla trasmissione Quarto Grado che mostrano come Martina Patti sia andata a prendere Elena all’asilo, si sia trattenuta a casa con la bambina per circa 24 minuti, sia nuovamente uscita in auto con la piccola per recarsi nel campo dal quale ha fatto ritorno da sola un’ora e nove minuti dopo. E’ proprio in quei 69 minuti che la Patti ha compiuto l’efferato omicidio che ha poi confessato infarcendo la sua testimonianza di particolari riscontrati dagli investigatori alternati a “non ricordo” che per i magistrati non avrebbero nulla a che vedere con una rimozione o un’amnesia dovuta al trauma ma sarebbero dichiarazioni frutto di una strategia difensiva atta a richiedere una perizia psichiatrica.

Per comprendere il movente di un delitto tanto atroce sono stati sentiti vari testimoni e la storia familiare di Martina ci restituisce una giovane madre molto probabilmente ossessionata dalla fine della relazione con il padre di Elena e dal fatto che la piccola fosse molto legata ai genitori di lui e si stesse affezionando anche alla sua nuova compagna. Alcuni addetti ai lavori hanno parlato della “Sindrome di Medea”, in psicanalisi il comportamento della donna tradita che, come la protagonista dell’antico mito, può arrivare a sopprimere i figli per vendicarsi del compagno fedifrago ma questo non significa che l’omicida non abbia agito nel pieno della sua capacità di intendere e di volere tanto più che anche Medea premedita il delitto e vive la morte della prole generata da lei ma anche dall’odiato Giasone come forza motrice per portare a termine il suo piano divenuto ormai unica ragione di vita.

E’ come se il frutto dell’unione fra Martina-Medea e il suo antico amore, ora incarnazione di odio e vendetta, fosse diventato un oggetto di cui disfarsi per distruggere la felicità dell’ex compagno e il suo progetto di vita futura che non comprendeva più la loro relazione. Un comportamento disturbato che però non coincide necessariamente con una patologia psichiatrica ma che potrebbe essere spiegato, come afferma il criminologo Massimo Picozzi, con l’esistenza della malvagità celata sotto una maschera di apparente normalità.

Martina Patti dal carcere nel quale è reclusa in isolamento dal giorno del suo arresto, ha chiesto di poter avere i libri che le consentano di continuare a studiare per poter diventare infermiera. Nessun segno di pentimento, nessun pensiero per la sua piccola che non c’è più.

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