Ci sono anche due centrali idroelettriche in Romania tra i beni sequestrati a un imprenditore accusato di trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante di aver favorito un potente clan di ‘ndrangheta, la cosca Iamonte di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) radicata da decenni anche nella cittadina brianzola di Desio, in Lombardia. Alberto Daniele Pizzichemi, residente a Bologna, è indagato dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo emiliano, mentre il suo braccio destro Gianfranco Puri è agli arresti domiciliari, nell’ambito di un’inchiesta battezzata “Black Fog”.
Pizzichemi è stato accusato in passato di associazione mafiosa a Reggio Calabria, era finito in carcere nel 2013 e poi assolto in appello nel 2015. Secondo gli investigatori restano diversi elementi – fra i quali le dichiarazioni di collaboratori di giustizia – che indicano la sua vicinanza al clan Iamonte, si legge nell’ordinanza del gip di Bologna Alberto Gamberini. Proprio per questi trascorsi Pizzichemi, “operatore finanziario di un certo livello con una disponibilità di risorse economiche fuori dal comune”, ha sistematicamente intestato ad altri “società e operazioni finanziarie a lui riconducibili”, scrive il gip, nel tentativo di evitare misure patrimoniali a suo danno.
Fra i tanti affari, le indagini della Guardia di Finanza di Bologna, coordinate dai pm Francesco Caleca e Flavio Lazzarini, hanno scovato le due centrali idroelettriche, oltre a diverse proprietà immobiliari a Sofia, capitale della Bulgaria, anche queste sequestrate. Si tratta degli impianti di Fenes e Obreja, nel distretto di Timisoara. Le centrali erano in origine di proprietà di un’azienda trentina, la Alto Avisio srl, controllata dagli imprenditori Guido Paternoster e Giorgio Gaiardelli, “legati a Pizzichemi”, afferma il gip, anche loro indagati. Nel 2017 sono state acquistate per un milione e 100mila euro da Pizzichemi “attraverso schermature” societarie, e il suo braccio destro Puri ne è diventato amministratore. Sulla carta, però, la proprietà restava in capo agli imprenditori trentini, da cui l’accusa di trasferimento fraudolento e il sequestro della partecipazioni di Alto Avisio nelle due società romene, Alto Energy e Vialtero.
Secondo i documenti sequestrati, la centrale di Fenes era produttiva, mentre quella di Obreja era da riattivare con un investimento da 750 mila euro. Al prezzo di vendita era stata aggiunta una componente variabile: 183mila euro per ogni “certificato verde” – un incentivo alla produzione di energia rinnovabile – che avrebbe ottenuto in futuro l’impianto di Obreja. Fra le altre contestazioni, il trasferimento di 15 milioni di euro alla banca svizzera Zarattini, filiale di Lugano.