Mondo

Armi nucleari, tra i Paesi che le hanno bandite non c’è l’Italia: nessun coraggio

di Giovanni Casciaro

Dal 18 al 23 giugno si è svolta a Vienna la prima riunione dei 65 Stati che ad oggi hanno ratificato il trattato di messa al bando delle armi nucleari (Tpwn), approvato nel gennaio 2017 ed entrato in vigore nel gennaio 2021. Il trattato, vincolante per i Paesi che lo hanno ratificato, è il primo strumento giuridico internazionale che dichiara illegali le armi nucleari, estende quanto già sancito per le altre armi di distruzione di massa. La conferenza è stata un evento storico in cui vi sono stati una molteplicità di interventi autorevoli e di avvenimenti significativi, in cui si è puntualizzata e rafforzata la prospettiva di azione congiunta di questi Paesi a favore del disarmo nucleare. Rilevante è stata anche la presenza della coalizione di organizzazioni non governative Ican, campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari, e di una delegazione di parlamentari di 16 paesi (tra cui 9 membri della Nato). Mentre per il governo italiano è stata, ancora una volta, un’occasione di mancata partecipazione. In più occasioni fonti governative italiane hanno confermato che, pur considerando gli impegni internazionali e gli aspetti di sicurezza, “l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari è uno dei cardini della propria politica estera”.

Hanno espresso la convinzione che le armi nucleari costituiscono una grave minaccia per l’umanità e per questo si deve procedere alla loro riduzione con l’obiettivo di una definitiva eliminazione. In contraddizione però con quanto affermato, l’Italia ospita circa 40 testate nucleari statunitensi e il governo non ha fatto alcun passo significativo in sostegno del Tpwn, malgrado 240 parlamentari italiani, tra cui l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, avessero firmato nell’ottobre 2017 un appello per la sua adozione. Il governo non ha risposto positivamente nemmeno alla recente risoluzione della commissione Esteri della Camera, approvata con il solo voto contrario di Fratelli d’Italia, in cui si richiedeva di realizzare atti concreti di avvicinamento al Tpwn e di partecipare come Paese osservatore alla prima riunione degli Stati parti del Trattato a Vienna. E a nulla sono valse le sollecitazioni in tal senso anche da parte di organizzazioni della società civile, quali Senzatomica e Rete italiana Pace e Disarmo, impegnate nella campagna: “Italia, ripensaci”.

Mentre alcuni paesi aderenti alla Nato, quali Germania, Paesi Bassi, Belgio, Australia e Norvegia, hanno partecipato alla conferenza come osservatori, dando così un segnale di attenzione nei confronti dell’accordo. Purtroppo si registra ancora una volta da parte del governo italiano subalternità alla Nato, mancanza di coraggio politico e di coerenza.

La conferenza di Vienna ha avuto un esito positivo. Sono state confermate e rafforzate alcune prese di posizioni generali: la condanna inequivocabile di “tutte le minacce nucleari, siano esse esplicite o implicite e indipendentemente dalle circostanze”; l’impegno ad “andare avanti con l’attuazione del Tpwn, con l’obiettivo di stigmatizzare e delegittimare ulteriormente le armi nucleari e costruire costantemente una solida norma perentoria globale contro di loro”. Nello stesso tempo è stato delineato un piano di azione che fissa una scadenza di dieci anni per l’eliminazione delle armi nucleari e di 90 giorni per la rimozione delle armi dagli Stati ospitanti quando aderiranno al Trattato. Quindi la conferenza si è data una serie di strumenti che permettono di promuovere l’adesione al Tpwn dei Paesi che non l’hanno già fatto. È importante riuscire a coinvolgere sempre di più anche l’Italia nel processo di disarmo nucleare.

Rete italiana Pace e Disarmo e Senzatomica confermano: “Abbiamo la responsabilità di incoraggiare gli Stati che possiedono le armi nucleari e che ancora esitano nel prendere una posizione ad abbandonare le loro politiche basate sulla deterrenza”. Ed è una responsabilità che riguarda noi tutti.

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