di Pietro Francesco Maria De Sarlo
Ieri, dinanzi alla sede degli Affari Regionali, si è tenuto un presidio contro il ddl sulla autonomia differenziata. Ignorato dai media, più interessati alle geometrie della politica che ai contenuti, si è ritrovato un ampio campo largo di forze intermedie di cittadini, associazioni, sindacalisti e alcuni parlamentari, preoccupati per gli effetti di una riforma di cui si parla poco e male e a senso unico. Il ddl è, prima che un attacco alla unità del Paese, un elemento di discriminazione non solo territoriale ma sociale, una vergogna sul piano costituzionale e intellettuale. Contrastare solo il ddl può però apparire una difesa buonista del Mezzogiorno e un impedimento al rilancio della parte produttiva del Paese. Non si può quindi affrontare la questione del ddl senza smontare il quadro di menzogne in cui siamo immersi da 160 anni: se si fanno analisi sbagliate le soluzioni non possono che essere sbagliate.
Anche chi si professa amico del Sud dice che il divario nasce da una pubblica amministrazione inadeguata, che viene scelta da una classe politica inadeguata, a sua volta scelta da una popolazione inadeguata sotto il profilo dei comportamenti economici e sociali. In altri termini si afferma che le cause del divario sono antropologiche. Ma se è così il divario non è risolvibile, e quindi avrebbero ragione quanti sostengono che al Sud è meglio non dare soldi perché tanto si spenderebbero poco e male. Questo è un bias cognitivo che confonde cause con effetto. Nel Sud la percentuale di occupati è il 50% e il Pil pro capite di 18.000 euro annui. In qualsiasi parte del tempo e dello spazio una popolazione fragile sotto il profilo materiale esprime un bisogno di protezione individuale e quindi un ceto politico che consenta la sopravvivenza. Se la causa del divario fosse la inadeguatezza delle pubblica amministrazione, la soluzione sarebbe banale: si prendono un centinaio di manager del Nord, con bocconiani al seguito, li si riempie di prebende e con la stessa razione di pane e cicoria data oggi al Sud in breve avremmo l’annullamento di ogni divario.
È evidente che non si risolverebbe nulla. Quindi le ragioni del divario vanno cercate altrove. Nella assenza di infrastrutture e in una spesa pubblica corrente, per esempio, inferiore di circa 100 miliardi annui, calcolata attraverso i gap territoriali di spesa pubblica pro-capite: la metà del Pnrr. Ma anche questo non spiega fino in fondo il divario. Nel tempo e nello spazio non c’è nessun popolo che abbia sviluppato la propria economia lontano dalle grandi vie di commercio. Henry Pirenne, lo storico belga, faceva risalire le origini del Medioevo al fatto che il Mediterraneo fosse ridotto ad un lago stagnante. Nonostante il Sud ne sia il suo centro e che questo sia il punto di incrocio di tre continenti, è nuovamente un lago stagnante.
Se le cose stanno così la prospettiva utile per il Sud sarebbe di immaginarlo in Europa come la California per la East Coast. Per farlo occorre recuperare la centralità della politica italiana nell’area e un piano di infrastrutture che consenta di creare un polo logistico alternativo e complementare a quello del distretto di Rotterdam-Anversa, attraverso cui passa l’80% di tutte le merci che entrano in Europa e poi anche in Italia. Meglio sarebbe utilizzare il Pnrr per un piano infrastrutturale di visione con un progetto simbolo di rinascita come il ponte sullo Stretto, invece dalla consueta inefficace dispersione.
Anche il ceto politico del Nord non è adeguato. È il prodotto di una società spaventata da continue crisi economiche e che cerca protezione, non individuale ma per gruppi di interesse, e trova rifugio nella narrazione di comodo di un Sud parassita e in un predatorio egoismo localistico. La conseguenza è che tutti assistiamo attoniti alle geometrie di Renzi, Di Maio, Calenda, Letta, M5S… che privi di visione e contenuti affossano ancora di più il Paese, come con questo ddl.