Riprende il dialogo in Ecuador tra il governo del presidente Lasso e le organizzazioni indigene che da quasi 20 giorni hanno iniziato uno sciopero nazionale ad oltranza (paro nacional), che ha messo in ginocchio il paese colpendo in modo particolare la capitale Quito. Sarà la conferenza episcopale ecuadoregna a doversi incaricare di mediare tra le parti in un momento nel quale la tensione continua ad essere estremamente alta. Lo sciopero nazionale è stato indetto dalla Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Ecuador – Conaie, a partire dal 13 giugno scorso e sul tavolo sono state presentate 10 richieste al governo di destra, guidato del presidente-banchiere Guillermo Lasso. La mobilizzazione è motivata dalla politiche neoliberali promosse dal governo, politiche che hanno esacerbato la povertà e diminuito i fondi destinati ai comparti della salute, dell’educazione e delle politiche sociali in generale. A questo si aggiunge l’aumento dell’insicurezza nel Paese e la crescente violenza generalizzata (basti pensare alle continue stragi nella carceri), così come il fomento delle politiche e delle attività estrattive (metalli e petrolio) che attaccano frontalmente i territori delle popolazioni indigene.

Il volto delle proteste e lider della Conaie è Leonidas Iza, che in quanto tale è stato incarcerato il 14 giugno con l’accusa di aver promosso la violenza nel paese sudamericano anche se poi, visto il rischio di una vera e propria guerra civile, è stato rilasciato dopo alcune ore. La Conaie, nel socializzare il documento che ha aperto lo sciopero nazionale ha specificato che per un anno le organizzazioni indigene hanno cercato di dialogare con il nuovo “governo dell’incontro” (così chiamato da Lasso) insediatosi il 24 maggio del 2021 come raccontato su questo blog mentre mi trovavo a Quito. “Ebbene, abbiamo già partecipato a un dialogo senza risposte per un anno, con riunioni l’11 giugno, il 5 agosto, il 4 ottobre e il 10 novembre 2021, ed è per questo che dato il contesto, chiediamo una legittima mobilitazione nazionale” ha scritto la Conaie. La risposta del governo di fronte alle migliaia di persone che hanno occupato le principali arterie della capitale Quito, avvicinandosi in alcune occasione anche al palazzo presidenziale di Carondelet è stata la repressione e la dichiarazione dello stato di eccezione.

Rispetto al modus operandi delle forze dell’ordine pubblico in Ecuador su ordine di Lasso, sono arrivati moniti e forti preoccupazioni anche da organismi internazionali come la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) e da ong come Amnesty International e Amazon Frontlines. La Cidh, in un documento nel 24 giugno ha espresso forti preoccupazioni, sottolineando che: la Cidh e il suo Rele (Relatore Speciale per la libertà di espressione) condannano tutte le violazioni dei diritti umani commesse nel contesto della protesta sociale ed esortano lo Stato a chiarire le circostanze dei decessi con la dovuta diligenza. Dal canto suo Amnesty Internacional ha denunciato sempre il 24 giugno che nella zona di Puyo (Pastaza) il 21 giugno si potrebbe essere verificato un’esecuzione sommaria extragiudiziale da parte delle forze dell’ordine nei confronti di un manifestante. La vittima è una persona indigena della nazione kichwa, abitante della comunità di San Jacinto che è stata raggiunta da un colpo d’arma da fuoco e che è morta poco dopo nell’ospedale generale della città di Puyo.

Amazon Frontlines, ong parte della piattaforma Alianza de Organizaciones por los Derechos Humanos (creatasi proprio in occasione dello sciopero) ha denunciato in una conferenza stampa del 28 giugno multiple violazione dei diritti umani, uso eccessivo della forza e detenzioni arbitrarie. I dati del monitoraggio realizzato dalle 13 organizzazioni che conformano la piattaforma, socializzati sui social con l’hashtag #parenlamasacre (fermate il massacro), parlano già di 76 incidenti di violazioni di diritti umani, 6 morti, 331 feriti e 152 persone incarcerate (dati al 28 giugno). Diversa la posizione dell’Oea (Organizzazione degli Stati Americani), che in comunicato ha chiamato le parti al dialogo condannando però il possibile tentativo di “golpe de estado” delle organizzazioni indigene per rimuovere Lasso dalla presidenza. Le proteste di questo tipo non sono nuove in Ecuador, paese che possiede una lunga storia di “estallidos sociales” (rivolte sociali) come ci ricordano i fatti dell’autunno 2019 quando era ancora presidente Lenin Moreno.

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Il malcontento sociale, che viene appunto da lontano, è stato però ravvivato da questo primo anno di presidenza di Lasso che ha debilitato ancora di più il già precario sistema di welfare state (demolito da Moreno) e aperto maggiormente la strada all’accaparramento delle aziende e dei capitali privati delle risorse ambientali. Non a caso, proprio a maggio scorso, erano stati due indigeni ecuadoregni del popolo A’i Cofan, a ricevere per il Sud America il prestigioso premio ambientale Goldman (considerato il Nobel per la difesa dell’ambiente). Alex Lucitante e Alexandra Narváez hanno guidato un movimento indigeno per proteggere il territorio ancestrale del loro popolo dall’estrazione dell’oro.

La loro leadership ha portato a una storica vittoria legale nell’ottobre 2018, quando i tribunali dell’Ecuador hanno annullato 52 concessioni illegali di estrazione dell’oro, date senza il consenso della loro comunità. Il successo legale della comunità ha permesso di proteggere ben 32mila ettari di foresta pluviale incontaminata, ricca di biodiversità e luogo di nascita delle sorgenti del fiume Aguarico: fiume sacro per il popolo indigeno A’i Cofán. E sempre non a caso, anche nel 2020, il premio Goldman era stato assegnato ad un’altra ecuadoregna: la lideresa indigena waorani, Nemonte Nenquimo.

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