di Francesco Petrelli*
Nonostante i toni trionfalistici usati ieri dai 7 Grandi in chiusura del G7 di Elmau in Germania, le conclusioni del vertice sono davvero deludenti sotto molteplici aspetti che determineranno il futuro prossimo di milioni di persone.
Su tutti, l’assenza di un vero Piano straordinario per affrontare le cause strutturali di una crisi alimentare globale che rischia di trasformarsi in catastrofe. A parlare sono i numeri elencati nello stesso comunicato di chiusura del summit, a cui però ancora una volta non sono seguiti impegni alla portata dell’emergenza: 323 milioni di persone nel mondo sono già alla fame e quasi un miliardo (950 milioni) lo sarà entro la fine dell’anno.
Ebbene, sono cifre che da sole dovrebbero portare ad intraprendere iniziative di portata storica, ma di fatto l’annuncio dal summit prevede un ulteriore impegno per soli 4,5 miliardi di dollari per combattere l’aumento esponenziale della fame quest’anno. Peccato che per rispondere agli appelli delle Nazioni Unite per far fronte all’emergenza i soli paesi del G7– che dovrebbero coprire il 65% degli aiuti – erano chiamati a stanziare altri 28,5 miliardi di dollari, per un totale di 33. Un ben misero risultato insomma.
A questo si aggiunge la mancata definizione di un piano di risposta di breve e medio periodo, in grado di far fronte all’insieme di cause che sono a monte della crisi ucraina e che avevano già portato ad un aumento dell’80% dei prezzi del grano, tra aprile 2020 e dicembre 2021. Un picco storico determinato in buona misura dalla crisi economica pandemica e dall’impatto della crisi climatica, di cui ci stiamo nuovamente accorgendo in queste torride settimane a casa nostra, ma su cui gli impegni dei paesi ricchi che inquinano di più stanno nel frattempo “retrocedendo”.
I Paesi del G7 continuano infatti a rifiutarsi di dare ascolto all’appello arrivato dalla Cop26 sul clima per un taglio ben maggiore delle emissioni di CO2; mentre sotto i colpi dell’emergenza causata dalla corsa dei prezzi di petrolio e gas, oggi si riapre il capitolo della produzione dei biocarburanti, che peraltro non sono stati mai banditi.
Ampliando la visuale si capisce, quindi, quanto la fame sia un problema che ha molte dimensioni che devono essere affrontate in modo integrato. E quanto oggi la dimensione finanziaria sia sempre più determinante.
Le risorse per un piano pluriennale credibile si sarebbero potute trovare, ad esempio, semplicemente tassando gli ingentissimi profitti in eccesso delle grandi aziende monopoliste dei settori agroalimentari ed energetico. E in parallelo si sarebbe potuto intervenire per la cancellazione dei pagamenti del debito a carico dei paesi a basso e medio reddito nel 2022 e 2023, ossia di molti degli Stati più a rischio, dove milioni di persone sono sull’orlo della carestia e che per primi pagano il prezzo della crisi climatica.
I paesi G7 avrebbero potuto promuovere processi di cancellazione del debito, per consentire a questi paesi di spendere quelle risorse per sfamare i propri cittadini. Al contrario la situazione oggi è tale che, per ogni dollaro di aiuti concesso, i paesi poveri devono restituire 2 dollari ai loro creditori, spesso a banche di New York o Londra, che realizzano enormi profitti.
In occasione del summit tedesco è stata inoltre stata annunciata la costruzione dell’Alleanza globale per la sicurezza alimentare insieme alla Banca mondiale, come risposta coordinata alle sfide della crisi alimentare. Vedremo se si tratterà di un organismo di coordinamento efficace, non vorremmo che invece si tendesse a sostituire gli strumenti propri del multilateralismo, quali le agenzie Onu per la sicurezza alimentare, il Programma Alimentare Mondiale o la Fao e soprattutto il suo Comitato per la Sicurezza Alimentare (Cfs). Soggetti dove tutti gli attori coinvolti, a partire dalla società civile e dai movimenti contadini di tutto il mondo, possono far sentire la loro voce.
Nel 2015 proprio ad Elmau – sull’onda del lancio dell’’Agenda 2030 dell’Onu, con i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile – erano stati presi impegni solenni per sottrarre alla fame mezzo miliardo di persone e raggiungere il secondo obiettivo dell’Agenda: “Fame Zero”. Sette anni dopo, con eventi allora impensabili come la pandemia o imprevedibili come l’invasione della Russia in Ucraina, ci troviamo con 335 milioni di persone in più colpite da forme gravi o acute di insicurezza alimentare.
In conclusione, come Oxfam, riteniamo cruciale che per affrontare la peggiore crisi alimentare della storia recente, si inizino ad eliminare le cause strutturali dell’emergenza che ci troviamo di fronte, a partire dalla disuguaglianza economica e dalla crisi climatica. Nel momento, speriamo prima possibile, in cui i rifornimenti di grano e cereali dai porti ucraini saranno sbloccati, si porrà argine alla crisi attuale. Rimane però l’obiettivo di ridurre drasticamente la fame globale fino ad azzerarla. Per raggiungerlo, abbiamo bisogno di leadership dotate di lungimiranza e coerenza, che un tempo drammatico come questo rende sempre più necessarie. Oggi, però, questo risultato rischia di restare molto, troppo lontano.
*policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia