Una Sicilia vera e autentica, l’epopea di una dinastia che incrocia i principali eventi della Storia. E’ il cuore pulsante di Il vento dell’Etna (Garzanti, 256 pp, 17 euro), nuovo romanzo di Anna Chisari in uscita in questi giorni. Un racconto che affonda le sue radici nella prima metà dell’Ottocento e a Belpasso, piccolo paese alle sue pendici dell’Etna.
La sinossi | È lì che il giovane Puddu apre la sua bottega di calzolaio. La sua firma sulle scarpe è una farfalla, perché con le sue creazioni ai piedi più che camminare si vola. Per questo Puddu non riesce a capire come mai gli affari vadano così male. Tutto cambia quando le sue calzature finiscono tra le mani della Baronessa di Bridport in visita alle sue terre a Bronte. La nobildonna non ha mai calzato nulla di tanto soffice ed elegante, perciò decide di fare un regalo a Puddu: lo nomina Baronetto. Nasce così la dinastia dei Baruneddu, come si faranno chiamare. Il negozio con gli anni diventa un grande calzaturificio che esporta in tutta Europa. Ma se i soldi non sono più un problema, il cuore comincia a diventarlo. Perché alla maledizione della vecchia Gnu Ranna nessuno può sfuggire. Sicuramente non Peppino, abbagliato dal sogno americano dopo aver conosciuto il dolore di un cuore infranto; né Ajtina, prima donna della famiglia decisa a far sentire la propria voce. Tantomeno Janu, che di scarpe non ne vuole sapere e fa carte false per sfuggire al laccio della famiglia e dei sentimenti. Tutto è cominciato con un sogno a cui i discendenti di Puddu guardano con riverenza, ma anche con sospetto. Le radici dicono da dove si viene, ma a volte vogliono decidere dove si deve andare. Sarebbe bello, forse, sentirsi leggeri come il vento che racconta del passato ma porta là dove non si sarebbe mai immaginato.
L’autrice | Anna Chisari è nata in Sicilia nel 1962 e da più di 30 anni vive a Milano. Giornalista e blogger, scrive da quando aveva 5 anni. La comunicazione è il suo mestiere, ha scritto per fogli, ha diretto giornali, ha fatto radio per tanti anni e ora lavora per il Comune di Milano, dove comunica cultura con i social. Il vento dell’Etna è la storia della sua famiglia e degli incontri che cambiano destinazioni e destini.
Ilfattoquotidiano.it, grazie alla gentile concessione di Garzanti, pubblica di seguito il prologo del libro.
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Le famiglie sono tutte uguali. Ci sono i bravi, i belli, i cattivi e gli eroici; ci sono tutti i caratteri umani mescolati in mille versioni, tante edizioni dell’umanità che nasce, che cresce e che muore, credendosi unica e inimitabile. Le famiglie sono tutte diverse. Ognuna ha i suoi limiti e i suoi peccati. Individui dai gesti epici che si raccontano con enfasi e ufficialità. Soldati di molte battaglie e di poche vittorie che arricchiscono i libri di storia di momenti capaci di segnare epoche e stabilire leggi, oppure che riempiono le pagine dei giornali di fatti di cronaca di cui dolersi o vergognarsi nei secoli dei secoli. La Storia è così, fatta di storie, di uomini che hanno famiglie e di luoghi che esprimono i sensi, i gusti, le scelte di quelle famiglie.
Sono gli incroci che cambiano, che indirizzano i fatti e producono svolte; sono le piccole scelte di ogni giorno che determinano e modificano il carattere; o le grandi scelte della vita che vanno oltre il risaputo, oltre lo stabilito. Dentro la famiglia si è al sicuro: è tutto ordinato, è tutto preciso. La famiglia ci accoglie e ci rende forti. Sotto le sue ali non bisogna cambiare niente, bisogna solo continuare a fare quello che abbiamo visto fare, senza mutare nulla per non sbagliare, senza aprirsi al nuovo per non fare circolare idee e rivoluzioni. Aggrappati gli uni agli altri con le dita che sanguinano per lo sforzo e le identità che sfumano, le madri diventano figlie e i padri travolgono con la loro urgenza di esistere. Comodamente seduti sul divano si aspetta di diventare vecchi per mostrare le foto dell’infanzia.
Dentro la famiglia non si respira. Le leggi feroci che impongono modelli ed emozioni impediscono di crescere e costruiscono muri di paura e apatia. Bisogna andare via per non specchiarsi sempre nello stesso specchio, per guardarsi con coraggio e uscire dal sottofondo della solita unica canzone. Svincolati gli uni dagli altri, si osservano da lontano i parenti teneri e imperfetti, pieni di difetti e grazia e li si ama quando non ci sono, li si odia quando ci ingabbiano dentro i loro sentimenti e le loro angosce. Le madri sono porti senza vento e i padri generose montagne su cui arrampicarsi. Con centinaia di chilometri nei piedi raccontiamo la nostra avventura lontano da loro. E portiamo con noi tutti quelli che ci hanno preceduto. Le loro vite finite non finiscono, sono dentro di noi e si intrecciano tra loro, ci formano, ci nutrono e ci limitano.
Abbracciati gli uni agli altri, i vecchi e i giovani, i morti e i vivi sono un tessuto di caratteri, temperamenti, baffi, nasi e unghie. Siamo quello che loro sono stati e loro sono quello che noi gli permetteremo di essere. La nostra bellezza dipende dalle loro scelte, la nostra umanità dai loro geni. Determinati e indeterminati, leggiamo il tempo con l’alfabeto codificato dai nostri antenati. E viviamo nell’illusione di essere unici. Unici nel nostro tempo. Unici nella nostra storia. Unici nel sentire e nel toccare. Unici nell’amore. Unici nella benedizione dell’amore. Unici nella maledizione.
Avvolti nella passione, nudi e vestiti solo del dolore, i Baronello hanno attraversato secoli, decenni, anni, giorni, minuti cercando l’amore e provando a sfuggire alla maledizione. I Baruneddu seguaci dell’amore si sono inchinati e hanno pregato che venisse a loro, che li inondasse di felicità e piacere, che scendesse nelle loro vite e le rendesse facili e leggere. Posseduti dall’amore, hanno ucciso gli altri sentimenti, scavalcato regole, rinunciato alla libertà, dissipato l’orgoglio e la dignità. Pochi di loro sono riusciti a trattenere il sentimento, pochi di loro sono riusciti a misurarsi con l’amore. Ostinati non si sono risparmiati davanti all’uragano, ciechi hanno scambiato l’acqua di un pozzo per il mare, sordi hanno sentito le campane della resurrezione, muti hanno mimato film di cui non conoscevano la trama, senza tatto hanno lasciato cadaveri in ammollo nelle loro menti. «È l’amore», gridavano i Baronello e allora correvano dietro a farfalle che si trasformavano in pipistrelli. «È la persona giusta», affermavano i Baronello e allora chiamavano il sindaco e mettevano il bollo su una poesia che era uno stornello sguaiato. «È quello che cercavo», sussurravano agli amici e allora cancellavano i dubbi e vestivano i loro carcerieri da piccoli angeli.
I Baronello si sono persi amando. Dentro la pancia dell’Etna hanno cercato la forza per non barcollare, la lava sotto i piedi gli ha suggerito la passione, il tremore dei fianchi li ha illusi, il vento da Muntagna li ha trascinati. Hanno creduto alla maledizione, si sentono essi stessi una maledizione. Ne parlano, se ne vantano, se ne dolgono. Alzano la testa credendosi invincibili, ma cadono molli sui loro errori, piangono imprecando, cantano canzoni che possano definirli. È una eredità pesante la loro. Nessuno di loro è sfuggito al fardello che Gnu Ranna Mangiaviscugghi ha caricato sulle loro spalle. Pochi hanno avuto carezze sincere, pochi hanno avuto storie lunghe, molti hanno inseguito passanti e nuvole, molti hanno deluso e sono stati delusi. Quel giorno la vecchia pazza, innamorata e accecata d’orgoglio, ha scomposto e ingarbugliato le trame delle loro vite; le sue parole d’odio sono state i nodi in cui si sono impigliate le vite di tutti i Baronello; il suo alito fetido ha rovesciato veleno su quelli che sarebbero nati; i suoi occhi cattivi hanno seminato paura. La maledizione striscia e dilaga, si infratta e rinasce, si spezza e cammina, invade e determina, convince e uccide. L’amore è una maledizione che piomba addosso e resisterle è impossibile. Impossibile sottrarsi all’amore. Impossibile sottrarsi alla maledizione.
© 2022, Garzanti S.r.l., Milano