Cinema

John Ford e il mito fallace della Monument Valley che cancella i pellerossa. Al Cinema Ritrovato ecco The Taking il documentario che fa discutere

Alexandre O. Philippe, già autore di diversi documentari sul cinema tra cui 78/52 sulla sequenza della doccia in Psycho, affronta la simbologia della conquista del west bianca tra Ombre rosse e Sentieri Selvaggi, grazie all’invenzione forzata della location rocciosa perennemente sullo sfondo dei film di Ford. “Lo spettatore al posto della verità preferisce il mito che finge di essere il passato”.

di Davide Turrini

“Più siamo soggetti a mediazione, più il reale diventa inafferrabile”. Spettatrici e spettatori (senza asterisco) di molti film di John Ford (tra cui Ombre rosse e Sentieri selvaggi), ma anche di Ritorno al futuro 2, Mission Impossible 2, Fievel sbarca in America, Dead Man, 2001 Odissea nello spazio, C’era una volta il west – e molti altri – sappiate che siete stati gabbati. Il colpevole è proprio mister Ford con la sua volontaria e antistorica mitizzazione della Monument Valley. Sorta di applique naturale rocciosa multiforme in arenaria piazzata come sfondo in sette suoi film dagli anni trenta agli anni cinquanta, poi ripresa in lungo e in largo da mille epigoni entusiasti, tra cui spot su spot pubblicitari, di una simbologia fallace. Niente cactus, niente tepee indiani, niente baracche degli uomini di frontiera. Ford si è inventato tutto. E l’ha fatto costruendo una versione simbolica eroica e struggente della conquista del west da parte dei coloni bianchi.

Dimenticando anzi cancellando, altrettanto volontariamente, il territorio sovrano e sacro, come la presenza dei pellirossa Navajo che vivevano in quei luoghi. The taking, il documentario di Alexandre O. Philippe (splendido anche il suo doc sulla sequenza della doccia in Psyco intitolato 78/52), visto alla 36esima edizione del Cinema Ritrovato di Bologna, è una delle visioni più stimolanti e delle analisi visivo semiotiche più ficcanti che gli studiosi di cinema potessero fornire ai neofiti e che presto diventerà oggetto didattico universitario. Inanellando soltanto frammenti di film (tutti quelli elencati sopra e molti di più), spot pubblicitari, filmati amatoriali di turisti in vacanza (presso la Monument Valley) e stralci di interviste di Peter Bogdanovich a Ford; relegando poi fuori campo i corpi degli accademici che riflettono sul tema e lasciandoci invece solo le loro voci; Philippe interroga e scotenna le immagini e l’immaginario dell’americanizzazione forzata che ha reso la Monument Valley una location simbolo di qualcosa che non ha mai avuto materialmente luogo. Si dirà, potenza del cinema. Vero. Ma c’è chi è parecchio incavolato, e da tempo, per questa memoria invisibile cancellata dalla storia.

Quando ad esempio Sentieri selvaggi si apre con la scritta Texas 1865, prima di tutto Ford sposta il set del racconto di Alan Le May ben lontano dagli spazi in cui era ambientato, poi tralascia qualcosa di ben più grave e taciuto. “Per il mio popolo queste immagini non hanno nulla di mitico”, spiega una docente di antropologia di origine pellerossa, tra i narratori del documentario. “Nel 1865 vicino ai luoghi in cui Ford ambienta Sentieri Selvaggi andava a pieno regime Fort Sumner un campo di concentramento per i miei antenati, il popolo Diné”. Ma inutile, il dado è tratto. Quelle spettacolari formazioni di roccia arenaria si trasformano in un “crogiolo di favole”, “mediano l’esperienza dello spettatore”, trasformano la storia in mito cinematografico che viene continuamente e ripetutamente rimasticato. Un significato universale per il mondo occidentale che diventa spot di purezza e potenza (lassù sulla roccia ci finisce con un elicottero perfino una Chevrolet), citazione dotta da bravi cinefili (Sergio Leone e non solo), addirittura suggestione di qualcosa non presente, che sfugge ai protagonisti di un film, ma che riconduce sempre lì (Paris, Texas di Wenders), tra i Mittens e il Totem Pole della Monument Valley. The taking fa però penzolare il dubbio, anzi fa risuonare la sinistra certezza che “lo spettatore al posto della verità preferisca il mito che finge di essere il passato”. Considerazione che fa tremare millenni di narrazioni da Omero a Marco Polo, fino proprio ai cineasti, diavoli manipolatori e conquistatori di anime ignoranti. Una piccola curiosità, tra le tante, del documentario: nella locandina di Thelma e Louise esposta fuori dai cinema si vedeva immortalata la Monument Valley quando nel film è inquadrato più volte, soprattutto nella sequenza finale in cui le due protagoniste si gettano nel vuoto, nientemeno che il Grand Canyon, quasi 300 chilometri più a Nord.

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