Il 1° giugno 2001, iniziò così l'omicidio della 18enne secondo quanto ha sostenuto in aula il pm di Cassino nel corso della requisitoria del processo che vede imputati, oltre a Mottola, suo padre Franco, ex comandante della caserma dei carabinieri del paese nel Frusinate, e la moglie Anna Maria. Questi ultimi due, ad avviso dell'accusa, la notte successiva si occuparono dell'occultamento del cadavere in un boschetto
Marco Mottola scaraventò Serena Mollicone contro un’anta della porta dell’alloggio della caserma dei carabinieri di Arce. Il 1° giugno 2001, iniziò così l’omicidio della 18enne secondo quanto ha sostenuto in aula la pm di Cassino Beatrice Siravo nel corso della requisitoria del processo che vede imputati, oltre a Mottola, suo padre Franco, ex comandante della caserma dei carabinieri del paese nel Frusinate, e la moglie Anna Maria. Tutti e tre sono accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Nel processo sono imputati anche il luogotenente Vincenzo Quartale, che deve rispondere di concorso esterno e l’istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, e Francesco Suprano accusato di favoreggiamento.
La lunga requisitoria, che si concluderà la prossima settimana con le richieste di condanna, il rappresentate dell’accusa ha affermato che “il cuore del processo” è proprio nella porta dell’alloggio dove Mollicone venne violentemente spinta perdendo conoscenza. Alla responsabilità di Mottola, secondo l’accusa “si arriva anche senza tenere conto della pur attendibile testimonianza del brigadiere Santino Tuzi” che aveva visto quel giorno entrare la 18enne nella caserma vestita con una maglietta rossa e dei pantaloni neri. “Quando abbiamo riaperto le indagini con l’ipotesi dell’omicidio avvenuto in caserma e con la perizia sulla porta avevamo poche speranze”, ma l’accusa è arrivata ad “avere una prova scientifica solidissima”.
La ricostruzione di quanto avvenuto ricalca anche il lavoro svolto dal medico legale Luisa Regimenti nella perizia di parte svolta su disposizione di Armida Mollicone, zia della ragazza di Arce. “Serena dopo il violento colpo contro la porta dell’alloggio della caserma cadde priva di sensi a causa di alcune fratture craniche – spiegò Regimenti nel corso dell’udienza del 22 aprile – ma poteva essere soccorsa. Fu lasciata, invece, in quelle condizioni per quattro-sei ore prima di essere uccisa dal nastro adesivo che gli è stato applicato sulla bocca e sul naso provocandone il soffocamento”. Nel corso della requisitoria il pm ha spiegato che le analisi scientifiche effettuate negli anni hanno portato ad “escludere ogni ipotesi alternativa” e anche le verifiche sui frammenti di legno, e in particolare le tracce di colla e vernice trovate sul nastro adesivo con cui era stata imbavagliata, fanno ritenere che “l’azione omicidiaria si è consumata all’interno della caserma”.
Secondo l’impianto accusatorio il movente sarebbe legato ad una lite che Mottola avrebbe avuto con Mollicone alcune ore prima. “Serena quel giorno si era recata dal dentista a Sora e poi salì a bordo dell’auto di Mottola per un passaggio. Con lui si fermò davanti a un bar dove fu vista litigare con il giovane”, spiega il pm. La ragazza andò, quindi, in caserma per recuperare dei libri che aveva lasciato in auto e lì, secondo l’accusa, venne aggredita. Il pubblico ministero ha affermato, inoltre, che furono i genitori di Mottola ad occuparsi dell’occultamento del cadavere. La notte tra l’1 e il 2 giugno di 21 anni fa “Franco e Anna Maria Mottola portano il corpo di Serena nel bosco di Fonte Cupa”, un elemento confermato anche dall’analisi dei tabulati telefonici e dal racconto di un testimone. In quel boschetto, a 8 chilometri da Arce, Serena fu ritrovata la mattina del 3 giugno 2001: il corpo in posizione supina in mezzo ad alcuni arbusti, la testa, con una vistosa ferita, avvolta in un sacchetto di plastica, mani e piedi legati con scotch e fil di ferro. Nastro adesivo anche su naso e bocca.