I giovani più fragili ancora mortificati da una politica adulta sterile: basta!
Ci sono due fatti apparentemente lontani tra loro ma che mandano lo stesso allarmante messaggio ai giovani, soprattutto a quelli che vivono maggiori difficoltà: lo stop alla Camera dell’iter sullo ius scholae e la denuncia mossa contro il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dai suoi stessi esperti sull’impiego delle risorse contro la dispersione scolastica.
Parto da quest’ultimo perché probabilmente è meno noto.
Qualche giorno fa un gruppo di autorevoli personaggi da una vita impegnati sul fronte della scuola (Ludovico Albert, Marco Rossi Doria, Franco Lorenzoni, Andrea Morniroli, Vanessa Pallucchi, don Marco Pagniello, Chiara Saraceno) ha preso carta e penna e con toni civilissimi ha scritto al ministro Bianchi un appello molto critico sul decreto 170 del 24 giugno 2022, che detta le regole sulla ripartizione dei fondi previsti per il contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa. Sono tanti soldi: 500 milioni di euro dei complessivi 1,5 miliardi dell’intervento di cui al finanziamento 1.4 della misura 4 del Pnrr.
In buona sostanza gli esperti denunciano due contraddizioni: una di metodo e l’altro di merito. Quella di metodo: il ministro nel marzo del 2022 ha istituito un Gruppo di Lavoro con l’obiettivo di raccogliere sagge indicazioni su come intervenire su questa materia così delicata. Del GdL hanno fatto parte diversi dei firmatari della lettera, che hanno visto cestinare di fatto il lavoro svolto, che appunto dava indicazioni in tutt’altra direzione. Quella di merito: avere disatteso le indicazioni del GdL proprio nella sua essenza e cioè la centralità che avrebbe dovuto avere, nella allocazione delle risorse contro la dispersione scolastica e la povertà educativa, la capacità di realizzare veri e propri patti educativi, che considerassero la scuola al centro di una più ampia strategie territoriale, capace di coinvolgere virtuosamente tutti gli attori che hanno a che fare con la crescita dei giovanissimi.
Niente di tutto questo, denunciano i firmatari, altro che “comunità educante”: ancora una volta soldi a pioggia sulla base di criteri molto semplificati che non assicurano l’efficacia del loro impiego. Motivo? Il solito: la fretta con la quale si devono spendere i soldi Ue. E ci risiamo! Mutatis mutandis: non è la fretta a far (di nuovo!) saltare alla Camera l’iter dello ius scholae, ma il solito perverso tentativo della destra di speculare sulla segregazione sociale, su un illusorio e spelacchiato senso di supremazia dell’appartenenza nazionale, come se questo guscio frusto potesse far sopportare meglio la precarietà del vivere a tanti cittadini italiani che faticano.
Ma la morale immorale della favola non cambia: pur essendo tutti consapevoli di quanto proprio i giovani più fragili debbano essere messi nelle migliori condizioni per crescere e riscattarsi da situazioni di difficoltà, pur essendo tutti consapevoli che questo sforzo non è soltanto sacrosanto per la uguale dignità di ogni cittadino che la nostra Costituzione impone alla Repubblica di riconoscere e tutelare, ma che è anche un investimento sicuro per il futuro complessivo del nostro Paese, si finisce troppo spesso per mandare segnali contrastanti. Segnali che non premiano lo sforzo di migliorarsi e di migliorare, anche quello sforzo fatto da tanti adulti nella scuola e nel Terzo Settore che cercano di fare del proprio meglio per liberare i più giovani da questi ostacoli ingiusti.
Troppi giovani “perdono la presa” e restano schiacciati sul fondo della società, boccheggianti. Troppi decidono di andarsene all’estero. Troppi decidono di non andare più a votare, stanchi di una politica inconcludente. Troppi restano sedotti da altre ricette di vita, che passano dall’appartenenza al branco alla violenza contro i “diversi”, e che arrivano ancora oggi fino alla affiliazione disperata e tragica nelle organizzazioni mafiose.
Sarebbe bello sentire nel discorso politico parole chiare e forti rivolte ai giovani, soprattutto a quelli più fragili, soprattutto a quelli che sono più a rischio, capaci di mobilitare, di indicare un orizzonte di riscatto sociale che abbia la scuola al centro. E c’è una data simbolica alla quale guardare per prepararsi ad un discorso del genere e tanto più alle scelte concrete che dovrebbe portare con sé: il 22 novembre, Giornata nazionale della sicurezza delle scuole. Era il 22 novembre 2008 quando la vita di Vito Scafidi veniva spezzata dal crollo del controsoffitto della sua aula al Liceo Darwin di Rivoli. Allora tanti adulti parlarono di “tragica fatalità”: saranno poi tutti smentiti dalle evidenze processuali, nessuna tragica fatalità, ma oscena umana responsabilità, quella di aver accumulato quintali di macerie nel controsoffitto per risparmiare sul capitolato d’appalto, quella di aver inchiodato le botole di controllo nel controsoffitto e di non essersene occupati più. Metafora tragicamente perfetta dell’avidità in nome della quale sulla pelle dei giovani si consumano squallidi giochi di adulti infami.