di Stefania Rotondo
Nell’ultimo decennio la democrazia è in affanno in tutto il mondo. È delegittimata top-down dalla élite e sfiduciata bottom-up dai cittadini. Il mondo sta soffrendo di erosione democratica anche in Paesi considerati potenze geopolitiche ed economiche. Dagli inizi degli anni Duemila le autocrazie sono passate dal 50% al 70%. Le democrazie dell’Occidente allargato rappresentano il 20% del totale dei Paesi e il 14% della popolazione mondiale. Il loro Pil è sceso dall’80% di inizio secolo al 60% di oggi.
Eppure per uno sviluppo sostenibile è necessaria la crescita della democrazia e delle libertà civili. Lo dice l’agenda 2030 delle Nazioni Unite, sottoscritta dai 193 Paesi membri nel 2015, che approvarono la risoluzione 70/1: “Trasformare il nostro mondo”. L’agenda parla di ‘pace, giustizia e istituzioni forti’, dove per istituzioni si intende ovviamente sane, responsabili, non corrotte, efficienti, liberali, elettive.
Secondo il Democracy Report 2021 ci sono Paesi del G20, (quindi tra le maggiori potenze mondiali) come l’India, Brasile, Turchia e Polonia, che sono diventate negli ultimi anni ‘autocrazie’. In generale l’autocratizzazione si sta diffondendo, mentre è rallentato il processo di democratizzazione. Nonostante le democrazie siano indiscutibilmente la roccaforte dei diritti dell’uomo, stanno vivendo tempi duri. In esse sono in atto tensioni sovranistiche, sotto la spinta di movimenti populistici. Un esempio su tutti, il trumpismo in Usa.
Perché le democrazie si indeboliscono e perdono consensi? È indubbio che la fine dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90 e del bipolarismo dell’ordine mondiale abbiano avuto effetti sulle democrazie parlamentari. L’Occidente non prestò all’epoca sufficiente attenzione al futuro della Russia e dei Paesi ex Urss nell’Europa dell’Est (inclusa l’Ucraina). Cercò di arginare il problema espandendo la Nato e l’Ue, aprendo una crescente instabilità nell’area dell’attuale conflitto. Inoltre, puntò ad un unico obiettivo, ovvero all’apertura internazionale dei mercati.
La politica internazionale guardò alla globalizzazione come a un processo indispensabile per la crescita delle istituzioni democratiche, determinando la nascita di ‘governi forti’, così come di guerre locali. Nel cosiddetto Occidente la recessione democratica ebbe inizio con l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, proseguì con la crisi della finanza globale del 2008, con la pandemia del 2020 ed è attualmente sempre più corroborata dalla guerra in Ucraina. L’incertezza sul futuro, in una società seppur democratica ma più complessa, ha favorito la protesta populistica e la perdita di leadership dei partiti politici e dei parlamenti. Cosa sta succedendo alle democrazie mondiali? Cosa sta minando, uno su tutti, il modello dei modelli della ‘democrazia’, quello statunitense, per cui il popolo ucraino è pronto all’estremo sacrificio?
È chiaro che nel processo democratico Usa il sistema è bloccato dall’eccesso di libertà. La Costituzione Americana ha più di 230 anni e appare ormai incapace a soddisfare le esigenze di un grande Paese, senza essere aggiornata. Ecco allora che appare reazionaria la decisione della Corte Suprema americana in merito all’abolizione sul diritto all’aborto, come lo è il diritto di detenzione di armi sancito dal secondo Emendamento. È fisiologico dunque chiedersi come può esserci ‘pace, giustizia e istituzioni forti’ in un Paese dove alla donna viene negato il diritto di abortire, dove per allattare la prole la giurisdizione le riconosce in molti casi solo un mese di congedo lavorativo costringendola alla ‘malattia’ per svolgere un compito primario, e dopo così tanto sacrificio magari si vede il figlio brutalmente ucciso a scuola da un pazzo armato. Sarebbe meraviglioso sperare in una nuova e vera Europa. Che possa ‘trasformare il nostro mondo’, fermare la ‘recessione democratica’ e affrancarsi dall’oltreoceano in affanno. Il conflitto ucraino potrebbe essere l’occasione.