La guerra in Ucraina ormai è impantanata, durerà a lungo e nessuno dei due schieramenti sembra in grado di conseguire una vittoria decisiva. Anche solo per inerzia, il maggior peso specifico della Russia potrebbe favorire un lento spostamento degli equilibri a favore di Mosca. Questa consapevolezza è ormai ben presente nelle stanze dei governi occidentali. Almeno di superare linee rosse che nessuno pare per fortuna intenzionato a superare, prima o poi bisognerà fare i conti con questa realtà. E anche negli Stati Uniti iniziano a rafforzarsi le voci che auspicano una soluzione anche diplomatica al conflitto. Non è casuale la dichiarazione che qualche giorno fa la Casa Bianca ha rilasciato alla rete televisiva Cnn in cui esprime dubbi sulla reale possibilità dell’Ucraina di riconquistare tutti i territori persi. All’interno della stessa amministrazione Biden si sta riflettendo è un atto una rivalutazione degli obiettivi da ritenere accettabili nell’Europa orientale. Come gli altri paesi neppure gli Stati Uniti sono un monolito, approcci diversi (Pentagono, Congresso, Casa Bianca) si intersecano e non sempre vanno nella stessa direzione ma la pista “realista” sembra rafforzarsi.
Pochi giorni la l’autorevole rivista statunitense Foreign Affairs ha pubblicato un articolo del membro del Consiglio di sicurezza internazionale Charles Kupchan che invita Washington a prendere in considerazione anche un approccio diplomatico. “È tempo che la Nato si concentri su una conclusione diplomatica del conflitto e capitalizzi così i successi ottenuti sinora sostenendo l’Ucraina. È tempo di agevolare un cessate il fuoco e avviare i conseguenti negoziati”, scrive il docente di relazioni internazionali che poi aggiunge “Continuare a combattere potrebbe significare per Kiev più perdite di vite umane e di territorio invece che avanzate. E più a lungo va avanti la guerra, più sale il rischio di escalation, sia intenzionale che accidentale, e più prolungate e gravi diventano le ricadute sull’economia globale e le forniture alimentari dei paesi poveri”. Una volta che gli Stati Uniti allentassero la pressione non troverebbero molte resistenze in Europa, che anzi sinora è stata al traino di Usa e Gran Bretagna. Francia e Germania, in particolare, non fanno mistero di guardare con favore e sperare in una svolta diplomatica.
Un aspetto importante è anche che agli americani, alle prese con un’emergenza inflazione ancora più pressante che in Europa, della guerra in Ucraina interessa poco se non nulla, come dimostrano i diversi sondaggi condotti sul tema. Al contrario, volendo dar credito alle rilevazioni che provengono dalla Russia (alcune però validate da analisi internazionali), il consenso verso la il Cremlino tende a rafforzarsi tra la popolazione russa. La questione dei risultati ottenuti in Ucraina, negli Stati Uniti è invece ben poco spendibile elettoralmente. A maggior ragione mentre chi è alle prese con buste paga che diventano sempre più leggere rispetto ai prezzi al consumo. E uno dei motori dell’ondata inflazionistica in corso è proprio la guerra in corso che spinge e mantiene su valori estremamente elevati i prezzi di petrolio e gas, quindi elettricità, benzina e, a cascata, tutti i prodotti che devono essere trasportati.
Quella dell’inflazione che si propaga a livello internazionale è una buona carta nella mani di Vladimir Putin. Il malcontento popolare allarma molto la Casa Bianca e qualche giorno fa si è visto come le questioni economiche siano in grado di plasmare anche le scelte di politica estera. Washington ha infatti avviato interlocuzioni con Pechino per rimuovere almeno alcuni dei dazi eretti in questi anni dall’amministrazione Trump e rafforzati da Biden. Allentare le barriere doganali significa avere la possibilità di ricevere prodotti cinesi in maggior quantità e a prezzi più bassi, attenuando le spinte inflazionistiche. Secondo alcune stime una riduzione di due punti percentuali nelle barriere all’import potrebbe abbassare l’inflazione di 1,3 punti percentuale e garantire alle famiglie americani un risparmio di circa 800 dollari l’anno. Questo avviene nonostante la Cina sinora non si sia smarcata dalla Russia verso cui mantiene un atteggiamento di blando sostegno. Non aperto, non eccessivo ma sufficiente ad esempio per dare a Mosca altri sbocchi per la vendita di idrocarburi.