Non si placano le polemiche sul reddito di cittadinanza: piace sparlare delle sue storture (poco dei suoi meriti) o enfatizzare il fatto che in una malefatta sia coinvolto un beneficiario del reddito di cittadinanza, come se il godere di questa misura fosse un aggravante del reato. Così se si scopre una maxitruffa sui bonus edilizi con sequestro per 772 milioni, ciò che viene enfatizzato di più è che alcune delle persone coinvolte godessero del reddito di cittadinanza, facendo quasi passare in secondo piano l’entità della truffa e tutti gli altri che vi hanno partecipato. Piace molto enfatizzare che tra i cosiddetti furbetti del reddito ci sono rom o appartenenti ad altre etnie, come se i furbetti italiani fossero un po’ meno disonesti. Tralascio volutamente le stucchevoli discussioni sul fatto che il settore della ristorazione e dell’accoglienza non troverebbero camerieri perché i ragazzi preferirebbero il reddito.

Una prima verità sul reddito

Mi basta qui richiamare una delle affermazioni della prof. Chiara Saraceno sul punto: il reddito di cittadinanza in media corrisponde a 500 euro mensili a famiglia, non a persona. Quindi, non potrebbe mai essere competitivo con un salario decente. Non è dimostrato in alcun modo che le persone, una volta ottenuto il reddito, stiano in panciolle a godersi questa immeritata ricchezza. Trovo profondamente errato criticare il reddito di cittadinanza ponendo l’attenzione solo sulle sue possibili distorsioni, cioè puntando il dito sulle persone disoneste che ne hanno approfittato (a prescindere dalla loro origine etnica). Così facendo si perde di vista ciò che è chiaro e limpido: tantissimi individui onesti sono stati aiutati, rispettando le regole. Il fatto che una minoranza ne abbia approfittato non deve portare a cancellare una norma giusta, né deve far pensare che la regola che riconosce un diritto, in quanto aggirata da alcuni disonesti, debba essere eliminata o corretta incrementando l’attività burocratica a carico del singolo.

È giusta una norma che talvolta protegge i disonesti?

Modificare una norma in funzione della sua patologia è profondamente errato, perché il rischio è di danneggiare proprio gli onesti che seguono le regole alla lettera, rendendo sempre più complesso l’esercizio del diritto e, quindi, limitandone l’accesso. In un mio post passato sostenevo che le regole che riconoscono diritti ai soggetti più deboli (come, in questo caso, quelle sul reddito) sono importanti e vanno mantenute anche se il loro effetto può talvolta essere quello di aiutare, in modo involontario, qualche disonesto. La maggior parte dei lettori, nel commentare negativamente quel post, mi aveva tacciato di essere inutilmente formale, perché, intrepretando le norme in modo rigido, nel riconoscere un diritto in modo assoluto determinavo l’effetto di assicurare un’eccessiva difesa per coloro che non meritavano alcuna protezione.

I due diversi punti di vista sul reddito

Le continue critiche contro il reddito di cittadinanza mi hanno fatto riflettere, perché non è la prima volta che sento dire che le regole che riconoscono diritti sono la base di un sistema che fornisce una tutela eccessiva a chi non la merita. È lo scontro tra due diverse visioni: da una parte chi accetta che dalla norma possano derivare distorsioni, perché quello che conta è l’aver riconosciuto un diritto ad una categoria di persone; dall’altra chi guarda il momento patogeno della norma, cioè mettendo al centro della propria osservazione chi, approfittando, ha ricevuto una tutela non dovuta.

È un problema di prospettiva: è come se si guardasse a due facce dello stesso satellite. Chi pensa che il reddito sia una misura giusta, guarda un lato della Luna; chi lo critica guarda al lato opposto (lascio al singolo lettore decidere chi dei due osservi “the dark side of the Moon”).

Non sopprimiamo una norma giusta, ma intensifichiamo i controlli

Nel giudicare una regola si deve guardare alla sua stortura per correggerla solo dopo che si sono utilizzate tutte le misure alternative. Sopprimere un diritto per una categoria di persone solo perché alcuni ne approfittano non è l’opzione migliore. Così come non lo è rendere praticamente impossibile il godimento del diritto, creando sovrastrutture burocratiche. Quello che si deve fare è, dopo aver preso atto delle distorsioni, introdurre controlli per avere sanzioni certe contro gli abusi. Insomma, per combattere la disonestà di pochi non si possono mettere a rischio i diritti di tutte (e sono molte) le persone per bene. Eliminare una norma che ha ben operato per una maggioranza, solo perché ci sono alcuni disonesti che me hanno approfittato, è la scelta estrema da adottare solo se le misure di lotta all’abuso non funzionano.

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