Trash-Chic

L’Oracolo della Sibilla ai tempi dei social messo in scena da Alessia Siniscalchi. A Pompei il Teatro Antico “canta” la sinfonia di Sostakovic e racconta 70 anni di regime. Anticipando la Grande Mossa di Putin

Avvocato penalista, poi appende la toga al chiodo, si iscrive all’ActorStudio di New York e vince subito una borsa di studio. Poi Alessia Siniscalchi studia da regista, dà vita e forma a una compagnia teatrale, un collettivo franco/italo/americano e si mette a fare sperimentazione. Adesso debutta nel cortile del Museo della Moda di Piazzetta Mondragone a Napoli. “Sybil Sessions” è la terza tappa della trilogia dei miti cominciata con “Medea Visions” e con “Oreste will be back“, già presentati al Teatro Bellini di Napoli e alla Nuit Blanche di Parigi. Un working progress, solo un assaggio di un Festival italo/francese in cantiere per la prossima estate. A questo punto occorre una premessa, Alessia è cresciuta all’ombra di tanto padre, Vincenzo Siniscalchi, avvocato penalista, un totem del Foro, ex senatore con passione smisurata per il cinema. “Devo a lui la conoscenza del Grande Cinema internazionale d’autore negli anni ’80”, ricorda Maurizio Gemma, responsabile della Fondazione Film Commission della Regione Campania, seduto in prima fila per una full immersion nella coinvolgente performance multimediale di Alessia. Spettacolo mutante, dove si improvvisa molto, con finale aperto che si avvale dell’intrusione in scena della girandola di social , video art, body art e sound designer (ma com’era sexy quella voce) che reinterpreta “Deus ecce Deus” partendo dal testo in latino dell’Eneide e dall’incontro criptico tra Enea e la Sibilla. L’attore performante un faraone dei nostri giorni ( al posto della corona un casco genialissimo e multifunzionale) chiede ossessivamente all’oracolo: “Sono o non sono posseduto dalla mia immagine”. E’ Alessia, l’alterego di una Sibilla virtuale, a rispondere: “Lo siamo tutti…”. In attesa di vederla a casa sua negli Scavi di Cuma, ossia l’antro, quel lungo budello scavato nella roccia di tufo della Sibilla.

Mai così tanti. Al Teatro Grande degli Scavi di Pompei una tifoseria da stadio per un altro “debutissimo”: il regista William Kentridge interpreta la Sinfonia n.10 di Sostakovic. E mette in scena “Oh to believe in another World”, un progetto sperimentale fatto di cartoon che sono veramente pupazzi di cartoni, per raccontare 70 anni di regime e dittatori sotto forma di un enorme collage. Una perfetta sinergia tra Teatro Stabile Mercadante, l’Orchestra Sinfonica di Lucerna e Numa Bischof Ullman content creator con la supervisione della gallerista number one Lia Rumma. Anzi il concept è nato proprio sulla sua terrazza spalancata sul golfo di Napoli di Lia. Non era ancora scoppiata pandemia e neanche l’ego di Putin. Da qui le note di Sostakovic (1906-1975) compositore russo famoso per le sue quindici Sinfonie, hanno preso forma. In molti suoi lavori, suo malgrado, fu costretto a introdurre i diktat imposti dal regime. Rappresentare l’ideologia, rivoluzionaria, imperialista/zarista non è facile, ma qui la ripetitività dei movimenti dei cartoon diventa per Kentridge un elemento dominante. Gli serve per dare un corpo meccanico alla sinfonia dove si guarda più che all’umano alla tecnica dell’animation. Grande schermo alle spalle dell’Orchestra Sinfonica dal vivo e tutto intorno le vestigia dell’antico teatro. Effetto di grande suggestione. La libertà al singolare esiste soltanto nella libertà al plurale. Lo diceva Benedetto Croce. L’avrà letto Putin?