Il 24 giugno 2021 le autorità palestinesi mostrarono tutto il loro disprezzo nei confronti del dissenso interno. Non fu né sarebbe stata la prima volta. Quella notte, nella zona di Hebron, un’unità congiunta del dipartimento della Sicurezza preventiva e dei servizi segreti fece irruzione nell’abitazione del noto attivista Nizar Banat, conosciuto per le sue critiche nei confronti del presidente Abu Mazen, dopo aver fatto esplodere la porta di casa.

I militari presero Banat a manganellate in testa, gli spruzzarono in faccia spray al peperoncino, lo spogliarono fino a farlo rimanere in mutande e lo trascinarono via a bordo di un veicolo militare. Morì un’ora dopo l’aggressione, mentre veniva trasportato di corsa in ospedale. Le indagini hanno prodotto il rinvio a giudizio di 14 funzionari di basso rango in corte marziale, in violazione delle norme internazionali che richiedono processi civili in caso di violazione dei diritti umani di un civile, anche se sono implicati dei militari.

Il processo è iniziato lo scorso settembre. Il 1° novembre l’avvocato degli imputati ha accusato uno dei testimoni, Hussein Banat, parente della vittima, di aver dichiarato il falso. Nei mesi successivi l’avvocato della famiglia Banat, Ghandi al-Rabi, ha denunciato ripetuti rinvii e un clima d’intimidazione. Il 18 maggio ha annunciato il ritiro dal processo in quanto la famiglia non crede più nella giustizia. Il 21 giugno gli imputati sono stati rilasciati per un periodo di “vacanza”, con la garanzia dei loro superiori che sarebbero tornati in cella dopo due settimane. Mentre scrivo, non so se questa garanzia sia stata rispettata.

Una farsa dunque. Nessun funzionario di alto grado è stato sfiorato dalle indagini. Chi diede l’ordine di arrestare Banat, di farlo senza mandato e sulla base di quale ragione? A un anno di distanza queste domande restano senza risposta. La Commissione indipendente per i diritti umani, che è realmente indipendente, dal 1° gennaio al 31 maggio 2022 ha ricevuto 55 denunce di tortura ad opera dei servizi palestinesi che rispondono alle autorità di Ramallah. Altre 60 denunce sono arrivate da Gaza.

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