Non solo la Marmolada: i cosiddetti glacier hazards, ovvero i rischi legati a valanghe di ghiaccio e ad alluvioni catastrofiche, sono in aumento e riguardano l’intero arco alpino. La più grande tragedia sulle Alpi nell’era moderna, con almeno 7 vittime accertate, ha riacceso l’attenzione su una situazione che l’Italia deve monitorare con attenzione. Il nostro Paese, infatti, conta secondo l’ultimo Catasto effettuato ben 903 ghiacciai sul suo territorio. Si trovano praticamente tutti sull’arco alpino, tranne i due piccoli corpi glaciali del Calderone sull’Appenino abruzzese. In totale coprono una superficie di 368 chilometri quadrati, ovvero il 40% in meno rispetto al precedente catasto del 1989. Non c’è solo il grande caldo delle ultime settimane, quindi: la ritirata dei ghiacciai è un fenomeno che prosegue da ormai oltre mezzo secolo. E che, secondo WWF Italia, è destinato a peggiorare: “Con la media delle temperature degli ultimi anni i ghiacciai sotto i 3.500 metri di altitudine sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni“.
Dove si trovano – La fotografia più completa e aggiornata sullo stato dei ghiacciai in Italia è quella realizzata dal gruppo di ricerca glaciologica dell’Università degli Studi di Milano nel 2015: il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani a cura di Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti. Sono stati censiti 903 ghiacciai nel nostro Paese. Il numero più elevato si registra in Lombardia, dove sono 230, seguita dall’Alto Adige con 212 e dalla Valle d’Aosta con 192. Altri 115 corpi glaciali sono presenti in Trentino, mentre in Piemonte sono 107. Numeri molto più bassi nelle altre due Regioni dell’arco alpino: in Veneto sono 38, in Friuli Venezia Giulia appena 7. Poi, come detto, sono stati censiti anche due piccoli ghiacciai in Abruzzo, gli unici presenti sull’Appenino. Analizzando la superficie dei corpi glaciali rispetto all’estensione delle diverse Regioni, la Valle d’Aosta risulta essere quella più “glacializzata”, con il 36,1% del territorio ricoperto dal ghiaccio. Seguono sempre la Lombardia (23,8%) e l’Alto Adige (23%).
Le loro caratteristiche – Le tipologie di ghiacciai presenti in Italia sono molto diverse: il grande altopiano dell’Adamello è il più vasto apparato glaciale delle alpi sul versante italiano. Ma ci sono anche ghiacciai vallivi come i Forni e il Lys, oppure i piccoli ghiacciai montani e i minuscoli glacionevati. In generale, evidenzia l’ultimo catasto, si caratterizzano per essere di ridotte dimensioni: la media nazionale è di 0,41 chilometri quadrati. Infatti, l’84% dei ghiacciai italiani ricopre solo il 21% della superficie totale ghiacciata nel nostro Paese. I corpi che hanno un’area maggiore di un chilometro quadrato sono appena il 9,4%, si legge nel catasto realizzato da Smiraglia e Diolaiuti, ma coprono una superficie del 67,8%. Sono solamente tre i ghiacciai italiani che superano i 10 km quadrati di estensione: il Ghiacciaio dei Forni (11,34) in Lombardia, il Ghiacciaio dell’Adamello (16,30( in Lombardia e Trentino, il Ghiacciaio del Miage (10,47) in Valle d’Aosta. Da soli rappresentano il 10,3% dell’intera area glaciale italiana.
La velocità di riduzione – Il confronto con i dati raccolti nei decenni passati permetti di certificare come i ghiacciai italiani siano in forte ritiro. L’ultimo catasto realizzato -che quindi non tiene conto di quanto accaduto negli ultimi 6 anni – dimostra che la superficie è passata dai 519 chilometri quadrati del 1962 (Catasto Cgi-Cnr), ai 609 del 1989 (catasto World Glacier Inventory, con dati raccolti negli anni ’70-80), fino agli attuali 368 chilometri, pari al 40% in meno rispetto all’ultimo catasto. Il numero dei ghiacciai è paradossalmente aumentato: si è passati dai 835 apparati glaciali del primo catasto (realizzato nel 1962) ai 903 attuali. L’incremento di 68 unità però è dovuto alle frammentazioni, ovvero a ghiacciai più grandi che per via del loro scioglimento si sono ridotti in più corpi sempre più piccoli. “L’aumento rispetto al 1962 è un altro segnale di pericolo – sottolinea WWF Italia – perché dovuto all’intensa frammentazione che ha ridotto sistemi glaciali complessi a singoli ghiacciai più piccoli. Negli ultimi 150 anni alcuni ghiacciai hanno perso oltre due chilometri di lunghezza, ma a ridursi è anche il loro spessore che in una sola estate può assottigliarsi anche di 6 metri“. “Se le temperature continueranno ad aumentare – afferma l’ong ambientalista – nel giro di pochi decenni i ghiacci eterni dalle Alpi Orientali e Centrali potrebbero ridursi drasticamente o scomparire. Rimarrebbero solo sulle Alpi Occidentali, quelle più alte. Inoltre, i ghiacciai sono sempre più scuri, e quindi più vulnerabili alle radiazioni solari“.
Le differenze regionali – La riduzione dei ghiacciai nelle diverse Regioni, secondo i dati raccolti nell’ultimo catasto, risulta tuttavia molto diversificata. In Piemonte, Veneto e Friuli-Venezia Giulia la superficie si è ridotta di quasi la metà in mezzo secolo. In Lombardia, invece, i ghiacciai hanno registrato nello stesso arco di tempo una perdita di estensione inferiore: circa un quinto rispetto al 1962, seppure il dato potrebbe essere sottostimato. Inoltre, il catasto del 2015 identifica ben 180 ghiacciai come estinti. La maggior parte si trovava in Alto Adige (70), altri 37 in Valle d’Aosta e 24 in Lombardia.
Le richieste al governo – “I dati e le analisi sono quindi disponibili da tempo: è l’azione che manca”, sottolinea quindi il WWF, che chiede quindi al governo di agire “sia per la mitigazione” con “l’abbattimento delle emissioni di gas climalteranti” e “sia per l’adattamento” con “misure per far fronte al danno e agli impatti già in atto”. Secondo l’ong serve una legge sul clima, che “renda la crisi climatica un elemento imprescindibile di valutazione per tutte le politiche. Serve inoltre l’urgente aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), compilato prima dell’aggiornamento degli obiettivi europei e dei prezzi alle stelle del gas“. Inoltre, il WWF chiede che venga varato il Piano Nazionale per l’Adattamento al Cambiamento Climatico: “Ricordiamo che un piano fu varato nel 2017, sottoposto a consultazione, riaggiornato nel 2018, sottoposto alla Conferenza Stato Regioni e poi a Valutazione Ambientale Strategica: ora pare vada riscritto daccapo, ma nessuno sa chi e con che tempi lo stia facendo”.