Dalla seconda Repubblica in poi pare sia scomparso il modo di congedarsi da una formazione politica nella quale si è militato, semplicemente prendendo atto di un sincero desiderio di approdare verso lidi migliori, più consoni alle idee e aspirazioni di chi non si riconosce più nelle fila di un determinato partito. Da Berlusconi in poi, sino al breve periodo del renzismo, ha fatto la sua comparsa la modalità proiettivo – freudiana del “me ne vado perché la dentro mi odiano“. Fu così Berlusconi, che all’odio contrapponeva l’amore, è stato così il Renzi della Leopolda. Poi Anakin Skywalker, che lascia i Jedi perché si è sentito oppresso ed incompreso.

Segue oggi, buon ultimo, il medesimo copione Luigi di Maio che sbatte la porta del M5S perché, a suo dire, abitato da troppo odio verso di lui. Sarà. La storia, a guardarla dentro, in controluce, ci insegna che in tanti casi questo fuggire dettato dal pressante anelito di far vincere l’amore minacciato da forze oscure ruminatrici di odio nasconde spesso ragioni più pelose e micragnose nemmeno tanto velate. In ambito psicoanalitico tante scissioni dono operate da chi è allergico al giudizio. Fu proprio Freud a rivelare la proiezione contenuta nel “loro mi odiano“, che racchiude e maschera un più prosaico “io li odio“.

Di Maio si accoda ad un andazzo di sopravvivenza politica inaugurato alla Leopolda quando, ancora in auge Renzi, il mantra che cementava la oggi quasi dissolta compagine fiorentina era appunto “loro là fuori ci odiano” di matrice renzicalcatiana, ritornello che ha accompagnato la semi dissoluzione del Pd a guida renzista, prima della creazione in vitro di Italia Viva, partito che finora è riuscito a scampare il letale vento elettorale delle elezioni politiche nazionali. “Insieme per il futuro” nasce con la stessa scocca: un gruppo parlamentare frutto di un’operazione di laboratorio, sganciato da qualsiasi esame di realtà elettorale, occupa oggi un posto in Parlamento disegnato con squadra e righello, non certo espresso da quelle urne che, proprio come il renzismo, probabilmente lo dissolveranno. Quando un individuo avverte di essere allergico a regole che mal sopporta, perché spesso costrittive, severe, lascia quel luogo nel quale non si riconosce più per fondarne uno che contempli la sua legge come elemento ordinatore.

I fondatori di nuovi ordini abbandonano strutture regolate perché non garantiscono i loro desiderata (sentita in Radio, giuro, e non mia: “Lo chiamano Insieme per il futuro perché “insieme per il secondo mandato” pareva brutto”), liberi di generare nuove aggregazioni che di quei lacci e lacciuoli fanno a meno. Essi se ne vanno gridando accorruomo, con l’indice puntato verso presunti odiatori interni dai quali mettersi in salvo. Già basterebbe il nome che la rete ha affibbiato a questa operazione: ‘scissione governista’, termine che racchiude per ossimoro tutto quello che il m5s era nato per combattere: il governare come fine ultimo, la preservazione dello status quo come elemento antitetico ai quei movimenti nati dal basso che ilm5s, voleva incarnare.

Ma de che, si dice a Roma. Di Maio è stato ministro ai tempi del governo Conte, l’avvocato che è andato in Europa a staccare un vertiginoso assegno, il quale tornando in Italia dovette fare i conti con l’invidia e l’ingestibile rabbia di tanti piccoli politici i quali, a Bruxelles, manco dalla porta di servizio. Era inevitabile il rancoroso fuoco di fila degli esclusi, quelli che ne hanno fatto una questione lividamente personale, minacciando una crisi in tempo di pandemia, quando ancora i pronto soccorso erano ingolfati. Odio, odio, semplicemente odio, fatto di colpi che miravano alle gambe per affossarlo, per farlo fuori.

Giuseppe Conte se ne è andato un attimo prima che i ricatti congiunti lo sfiorassero, inattaccabile da qualsiasi vessazione, signorilmente allergico agli aut aut, ai maramaldi, poco a suo agio col coltello. Conte ha lasciato che costoro, “i migliori”, occupassero la scena spendendo quei denari che lui ha portato in Italia. Un gesto di classe, di chi è solito lavorare alla luce del sole. Mentre i vari Salvini, Renzi e compagnia bella gridavano, chi invocando dittatura sanitaria, chi cercando un pretesto per segare le gambe a chi in Europa aveva quel plauso e quel riconoscimento a loro negato da sempre e per sempre, Conte volle destinare gran parte di quei soldi all’Italia in ginocchio, alla sanità al collasso, denari che andavano direttamente nei conti correnti di imprenditori, artigiani, famiglie, professionisti messi al tappeto dalla pandemia. Come può Di Maio stupirsi del fatto che Conte sia contrario ad utilizzare quei denari per i quali si è smazzato per cannoni e pallottole?

Cosa avrebbe dovuto fare l’ex premier, vanificare lo sforzo sovraumano di quel governo ed accettare che i soldi venissero liberamente destinati a rimpolpare una guerra che l’Ucraina non può vincere, facendo prevalere la logica dello scontro rispetto a quella del negoziato? Già, ma che uno se ne esce cosi? Dando il destro alla sputtanamento generale? Ma no, che diamine. Serviva un motivo politico nobile serio. La motivazione “ufficiale” che questa microfrattura cerca di darsi, vale a dire il sostenere l’Ucraina contro Putin l’aggressore, è tanto pomposa quanto generica e pretestuosa a mio avviso. Questo perché il suo opposto significherebbe, a dire dei futuribili accorpati, avvallare le prede fameliche dell’orco putiniano e del suo esercito di assassini saccheggiatori. Dunque non me ne vado il M5S mi va stretto. Certo che no, me ne vado perché così non si mette in discussione la presenza dell’Italia nell’area dell’atlantismo. Ovvio! Come se restare con Conte significasse schierare i sodati con l’Armata Russa tradendo la Nato. Dunque il ‘ chi è contro il governo è pro Putin’ non regge, ma serve. Mediaticamente una pezza ci voleva. Il partito dell’amore che si batte per l’alleanza atlantica contro il mostro Putin: e chi può non sottoscrivere tale appello?

Con ogni probabilità visto che è stato il solo ad applaudirlo, troveremo Di Maio nel suo lungo cammino verso l’amore in fuga dai tentacoli dell’odio, arringare alla Leopolda, finalmente ricongiunto al gruppo che prima lo attaccava con epiteti e allusioni che io ed altri stigmatizzammo proprio qua, difendendolo dalle accuse di ‘analfabetsimo’ di chi irrideva le sue umili origini. Cosa che rifarei senza indugio. Il campo dei partiti nati in laboratorio, il grande terreno dello zero virgola, sembra oggi il suo fisiologico approdo, lanciato verso quella distesa di cespugli dove lo aspettano Renzi, Calenda, e altri ancora.
Buon viaggio quindi.

Gli italiani aspettano ‘Insieme per il futuro’ proprio come aspettarono Renzi, quella magnifica notte del 4 dicembre. E’ solo questione di tempo.

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