Dire chiaramente la verità dopo le tragedie, più che mai quando sono così orribili come quella della Marmolada, non è da tutti. Il solito schietto Reinhold Messner ieri ha ripetuto chiaro e tondo che un alpinista non dovrebbe andare a passare sotto i seracchi a 3mila metri con queste temperature. Il nostro ottimo Luca Mercalli, che di montagna se n’intende non solo come meteorologo, sostiene che ‘chiudere’ tutti i ghiacciai d’Europa, purtroppo l’unico provvedimento che eviterebbe tante disgrazie, sarebbe irrealistico. C’è chi ha voluto come al solito salire in cattedra, e spiegare che oggi per essere un bravo alpinista, bisogna sapere come affrontare i pericoli dovuti al riscaldamento globale. Rinunciare no?
Fa veramente impressione, per esempio, sentire che si parla di due cordate con sette persone travolte insieme alle guide. Professionisti di tutto rispetto, patentati, che per guadagnarsi il pane organizzano la gita con i clienti nei giorni in cui in cima alla Marmolada siamo arrivati a un impensabile più 10 gradi.
Personalmente ricordo ancora, e non era pochi anni fa, di un arrivo con la funivia a Punta Helbronner in pieno solleone e di una chiacchierata alle 10 di mattina davanti al rifugio Torino, porta d’accesso a tante scalate dal versante italiano, con due istruttori degli alpini che filavano le corde per riporle bene in zaino, prima di andarsi a riposare, al ritorno da un’ascensione sul Dente del Gigante. Erano usciti dal rifugio circa alle 4 di mattina. Nelle relazioni che si trovano anche online, il Dente è una meta da una decina di ore, che i due Speedy Gonzales dell’esercito riducevano a cinque-sei. Col caldo che fa adesso, senza più nemmeno il rigelo notturno, neanche la velocità da record garantisce più il riparo dai pericoli oggettivi.
E’ da settimane, se non da mesi, che arrivano notizie allarmanti sul fronte dell’alta montagna. I francesi, che le regole ogni tanto le mettono, avevano provato a vietare già nella stagione sci-alpinistica la salita al Monte Bianco, poi qualcuno ha tracciato dei nuovi percorsi e amen. E’ chiaro anche a un poppante, o quasi, che il limite cosiddetto dello zero termico, oltretutto con le previsioni dettagliate di cui tutti oggi disponiamo, non dovrebbe servire soltanto a indicare che è inutile mettersi addosso il piumino. È orribile ma bisogna saper prendere atto della realtà: in un’estate come questa alle alte quote può succedere di tutto, e anche la media montagna può rivelarsi un terreno di gioco proibitivo, per il pericolo di crolli legati al micidiale mix tra siccità e precipitazioni temporalesche intense, senza considerare nemmeno gli effetti del caldo sul corpo.
Eppure, si sente dire persino che le sezioni del Club alpino italiano organizzino ancora i corsi di arrampicata su ghiaccio, che dovevano essere sospesi ormai vent’anni fa, con le salite in contemporanea di più cordate lungo quel che resta della traccia su qualche parete nord di una volta.
Il punto è che le persone e le istituzioni preposte alla montagna non sono in grado di ripensare in modo radicale a quel che fanno, e pertanto, con buona pace dei libertari d’ogni razza, dovrebbero essere imposte regole aggiornate almeno alle guide, ai comuni di montagna e alle associazioni pubbliche come il Cai. Dovrebbero anzi essere questi i soggetti più attivi a far finalmente ragionare quelli che vogliono frequentare la montagna, scuotendosi dall’inerzia incosciente del ‘si è sempre fatto’, luogo comune tra i più ripetuti (forse è il caso di non usare più nemmeno la categoria fatalistica di ‘disgrazia’). Altrimenti tutti continuiamo a pensare che non sia cambiato nulla.